Credo che la vicenda di Alfredo Cospito non possa che suscitare, in ciascuno di noi, un senso di profonda inquietudine. Sono troppi gli elementi preoccupanti, allarmanti, perfino angosciosi che questo caso giudiziario ha sprigionato dal proprio seno, come un moderno vaso di Pandora.
Da un lato c’è un uomo che va incontro alla morte per fame, una condizione inaudita, barbara, impensabile in una società che si vuole civile; dall’altro, ora che i media hanno puntato i loro riflettori sul 41bis, questo regime carcerario si palesa in tutta la sua crudele durezza: il bando di libri e giornali, le limitazioni che gravano sugli oggetti che il detenuto può tenere in cella, la riduzione dell’“ora d’aria”, il divieto di accedere agli spazi comuni, e così via.
Dall’altro lato ancora si affacciano gli anarchici, non solo con le loro legittime manifestazioni e proteste, ma con le minacce, gli attentati, che già ci sono stati, e gli altri che potrebbero verificarsi, coinvolgendo vittime innocenti.
Vivere questa situazione provoca non solo inquietudine, e angoscia, come dicevamo, ma anche frustrazione. Perché si ha la sensazione di essere governati da autorità poco responsabili, prigioniere di regole sfuggite al loro controllo, incapaci di anteporre la vita delle persone e la pace sociale ai conflitti di competenze e all’intrico delle norme. Non siamo giuristi, né giudici, né politici, abbiamo solo l’arma del buon senso. Ed è per questo che ci chiediamo: ma ha senso tutto quanto sta accadendo?
