Ripetiamo la “missione di pace” del diciannovenne Mathias Rust che il 28 maggio 1987 planò sulla Piazza Rossa | Culture
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Ripetiamo la “missione di pace” del diciannovenne Mathias Rust che il 28 maggio 1987 planò sulla Piazza Rossa

Trentacinque anni fa lo studente dell'Ovest tedesco atterrò nel periodo della la Guerra Fredda. Nonostante l’impegno nelle “operazioni speciali” la democrazia putiniana sarebbe sicuramente più accorta del comunista Gorbačëv.

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Marcello Cecconi Modifica articolo

26 Maggio 2022 - 14.37


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Fu clamoroso. Pane e sale, un gesto di amicizia e di benvenuto russo, accolsero Mathias Rust, uno studente tedesco dell’Ovest con l’hobby del volo, quando 35 anni fa, il 28 maggio del 1987, atterrò con un piccolo aereo da turismo nella Piazza Rossa di Mosca. Mathias, coraggio e tanta incoscienza giovanile. E allora perché non ripetere questo gesto? Lui lo giustificò, non creduto, come “missione di pace”. E allora riproviamo a rifarlo oggi!

Ma allora era molto più facile? Eh sì perché allora non c’era mica la guerra, c’era solo la Guerra Fredda fra il lento comunismo dei Soviet che Michail Gorbačëv voleva svecchiare e il dinamico ed egoistico capitalismo occidentale firmato “Reagan & Tatcher”. E Infatti da poco Ronald Reagan e Michail Gorbačëv si erano incontrati a Reykjavík proprio per risolvere il problema del “gelo” tra blocchi.

Addirittura il comunista annacquato Michail Gorbačëv, aveva l’ardire della “trasparenza” per l’Urss e per gli scalpitanti alleati di quella Cortina di Ferro che cominciava ad allargare maglie e, come dicevo, si discuteva financo per abbatterla. Che tempi per l’Occidente e per l’Europa in particolare e, attenti all’ossimoro, i lontani e bei tempi di pace della guerra fredda.

Si è vero, Rust ebbe diverse coincidenze a suo favore per arrivare fin davanti al Cremlino indisturbato. A Toržok, per la bassa quota e scarsa velocità, venne scambiato per uno degli elicotteri di soccorso e gli fu assegnato lo status di “amico”. Non fu identificato nemmeno quando passò sopra l’Aeroporto Šeremet’evo di Mosca per disattivazione del sistema di controllo in manutenzione straordinaria. Insomma, fortuna o no, il ragazzo dopo tre tentativi e inseguito da una folla con il naso all’insù ce la fece ad atterrare davanti al Cremlino.

E quindi adesso, comunismo finito e impero sovietico frantumato, sarà più facile o difficile atterrare davanti all’Ufficio di Vladimir Putin?  Dovrebbe essere meno pericoloso, no? Intanto perché il democraticissimo Presidente della grande Federazione Russa è convintamente stato eletto dal 70% degli abitanti come capo di Stato di una repubblica federale di tipo semipresidenziale. Come la Francia di Macron. Uguale uguale. Ci sono anche i tre poteri ben suddivisi e quindi la democrazia è certificata, magari sarà “oligarchica”, come dicono quelli che s’intendono di politica. Ma chi non ha, oggigiorno, un aggettivo qualificativo da aggiungere alla propria democrazia? E poi, se anche Kirill, il capo di una delle più grandi chiese ortodosse della cristianità, ne garantisce la giustezza come avere dubbi!

Quindi, atterriamo ancora sulla Piazza Rossa con la bandiera “arcobaleno”. Va bene, Vladimir ha qualche mira territoriale, ma non è pericoloso, solo qualche piccola operazione speciale intorno ai propri confini, ma solo per difendere la sua democrazia sana e giusta dalle corrotte e libertine democrazie dell’Occidente. Ma lui, Vladimir, ha una missione.  Sarà mica il novello Yahweh, biblico Dio degli ebrei? Quando il Dio rivelò ad Abramo che stava per distruggere Sodoma e Gomorra, disse: “il loro peccato era molto grave” e “il grido che saliva dalle loro città era troppo grande”.

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