di Marialaura Baldino
Doveva essere, questo ’22, l’anno della ripresa durante il quale gli strascichi del Covid sarebbero stati arginati e la macchina del lavoro si sarebbe rimessa pian piano in piedi. Lo stiamo festeggiando, invece, in un contesto orribile: con tante vite perse proprio nel lavoro e con il vicino rombo dei missili e dei cannoni.
Lo dice la terribile cifra: nel marzo scorso, solo nel primo trimestre, l’Inail ha registrato 189 caduti sul lavoro. Queste morti sul lavoro rendono una Festa meno festa e fanno riflettere. C’è chi sul lavoro muore e c’è chi, al contrario, è in pena perché il lavoro lo cerca ma non lo trova. Gli stessi dati ci dicono, infatti, che il tasso di disoccupazione giovanile è schizzato al 25% mentre cresce anche il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni( pari a +74mila unità) . Per non parlare del tasso di disoccupazione femminile, che è al 10.2%. Due punti in più rispetto a quello maschile.
Mi chiedo allora: vivendo in uno scenario simile, cos’è che stiamo davvero festeggiando?
La ricorrenza del Primo Maggio è sicuramente una delle date civili più importanti perché, in realtà, celebriamo le grandi battaglie per la dignità del lavoro le battaglie sociali compiute, e a volte finite nel sangue ( basta citare un luogo: Portella della Ginestra) e quelle per il raggiungimento di una maggiorazione o una parità di diritti dei lavoratori. Eppure, ci resta un groppo in gola mentre oggi cortei sfilano e nelle piazze migliaia giovani canteranno, a Roma a Taranto e in tante altre piazze, come si canta quando si risente il profumo della libertà riconquistata dopo due anni di pandemia.
E in prima fila , in quelle piazze, ci saranno proprio i giovani. Una contraddizione in seno al popolo, avrebbe detto il vecchio Mao. Infatti, ormi quasi quotidianamente, sentiamo parlare del problema dei “giovani fannulloni”, ai quali però non vengono riconosciuti né un giusto salario e, in certi casi, nemmeno un regolare contratto. Cantare fa bene, protestare farebbe meglio.
Lo ha dichiarato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: la cronica mancanza di lavoro giovanile in Italia è una questione che pone il paese agli ultimi posti delle classifiche europee, ma è una questione che va affrontata con impegno e determinazione. Formare i giovani, creare condizioni normali affinché possano entrare a far parte del mondo del lavoro, non è altro che una necessità per il nostro paese e per la nostra società. Un mondo che “deve rispettarli nella loro dignità di persone, di lavoratori, di cittadini”, che deve dare ai giovani quel che spetta loro, per poter così costruire il domani.
Continuano a circolare, inoltre, anche bufale riguardanti la situazione lavorativa dei migranti – la categoria meno protetta – ai quali non vengono garantiti né diritti né assicurazioni e che continuano ad essere impiegati in condizioni di lavoro precarie e pericolose. Eppure, secondo una stima della Confederazione europea dei sindacati, “appare chiaro ed evidente il contributo essenziale dei lavoratori migranti per sostenere le economie europee, i servizi pubblici e colmare le carenze di manodopera”.
E sentiamo anche e ancora parlare di morti bianche: 189, un numero altissimo. E di questa cifra sempre di più sono donne. Ma come ha dichiarato sempre il presidente Mattarella: “Il valore del lavoro non può essere associato al rischio, alla dimensione della morte. La sicurezza sul lavoro si trova alle fondamenta della sicurezza sociale, cioè del valore fondante di una società contemporanea”.
Queste disuguaglianze, la precarietà e le irregolarità che continuiamo a registrare è il prezzo che stiamo pagando e che continueremo a pagare per la mancanza di crescita sociale ed economica del paese. Questa guerra, peraltro, non fa altro che peggiorare la situazione Non ci resta quindi che fare come canta Stromae in Santé: “Sì, festeggiamo chi non festeggia. Ancora una volta vorrei brindare a quelli che non lo fanno”.