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La Pravda ieri e oggi. Da 11 milioni a 100 mila copie

Nasceva il 22 aprile 1912 grazie a Lenin e nel 1918 diveniva organo ufficiale del Pcus. Qualche anno dopo la fine dell'Urss è tornata a essere la voce del nuovo Partito Comunista russo

La Pravda ieri e oggi. Da 11 milioni a 100 mila copie
La testata della Pravda di oggi 22 aprile con ancora il motto "Пролетарии всех стран, соединяйтесь!" (Proletari di tutti i paesi unitevi)
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Marcello Cecconi Modifica articolo

22 Aprile 2022 - 16.43


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Di questi tempi c’è un’attenzione mediatica importante sui mezzi di comunicazione russi, specialmente sulla qualità e quantità dell’informazione propagandistica durante la guerra russo-ucraina che si sta combattendo anche con socialmedia, televisioni e giornali. Ebbene, fra questi giornali c’è ancora la Pravda. Forse fra i più giovani il nome Pravda non sollecita emozioni ma, a chi ha tempie grigie, evoca sicuramente una storia importante, quella racchiusa nel motto del giornale “Proletari di tutto il mondo unitevi”.

La Pravda, è stata una delle due facce di quel binomio granitico del giornalismo dell’Unione Sovietica che comprendeva anche l’Izvestija. Ha come data di fondazione ufficiale quella del 22 di aprile del 1912 anche se in realtà c’è un antefatto. Questo nome, Pravda, era già apparso su un giornale firmato da Leon Trockij nel 1908 ed edito a Vienna per sfuggire alla censura della Russia zarista che dopo la “domenica di sangue” del 1905 a San Pietroburgo, stava difendendosi con le unghie dalle rivendicazioni studentesche, operaie e contadine che stavano straripando nell’impero.

Quello di Trockij era un giornale di impostazione socialdemocratica destinata agli operai russi in patria, ma quando nel 1910 si tentò, senza riuscire, di sanare la divisione fra menscevichi e bolscevichi, il giornale chiuse per mancanza di fondi. Fu così che la Pravda (ri)nacque ufficialmente a San Pietroburgo nel 1912 dalla fazione bolscevica e diretta da Lenin che ne fece il mezzo di comunicazione più importante del Partito in clandestinità che si stava riorganizzando. La mannaia della censura zarista obbligò ancora alla sospensione delle pubblicazioni nel 1914 spingendo il giornale a cambiare nome per diverse volte fino alla rivoluzione del 1917 quando la Pravda riaprì definitivamente con il proprio nome. E qui, nello stesso anno, Lenin pubblicò le celebri Tesi di aprile, che con i famosi dieci punti programmatici sostanziarono il percorso rivoluzionario sovietico.

Nel 1918 la Pravda si spostò a Mosca e divenne organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico sotto il controllo di Josif Stalin e, da allora, ha accompagnato l’intera esistenza dell’Unione Sovietica, fino alla sua caduta nel 1991. Aveva un ruolo informativo ed educativo. Tutte le imprese statali, l’esercito, e tutte le istituzioni di regime erano obbligate all’abbonamento ma, almeno in patria, era letta con avidità anche per gli approfondimenti di carattere scientifico e culturale.

La lettura di questo giornale, per l’Occidente, è sempre stata una delle complicate e limitate vie per cercare di interpretare quello che bolliva nel pentolone dell’oscuro Politbüro. Analizzato con particolare attenzione durante la Guerra Fredda per capire prima le dittatoriali intenzioni di Stalin con le sue purghe, i suoi gulag e i suoi piani quinquennali e, dopo la sua morte, quanto Nikita Sergei Khrushchev volesse e potesse davvero dare corso alle varie tappe della destalinizzazione. Ma ciò che contava davvero era che la Pravda fosse il giornale che poteva unire ogni cittadino sovietico delle più disperse repubbliche, tanto che, si giunse a una diffusione di undici milioni di copie giornaliere.

Lenin legge la Pravda

La capacità della Pravda di promuovere il regime autoritario sovietico divenne paradigmatico sia all’interno che all’esterno dove questo modo rigido, quasi imbalsamato, di propagandare appariva sempre più consunto. Insomma per la Pravda (si traduce “la verità”) che era l’organo del Partito e per l’Izvestija (si traduce “le notizie”) che era quello del Governo si sprecavano ironie popolari occidentali come quella che diceva “nella Verità non ci sono notizie e nelle Notizie non c’è verità”. Poi arrivò Mikhail Gorbaciov e la Pravda divenne così l’inevitabile vittima della campagna in favore della glasnost, della trasparenza, del candore, con l’ingessato quotidiano del partito che si ritrovava a scontrarsi con gli altri giornali, seppur legati a organizzazioni comuniste o a società statali, ma più dinamici nel trasformare il modo di fare informazione.

Ma, come dicevamo in apertura, la Pravda esce ancora oggi in Russia, il più grande degli stati della Federazione nata dopo la dissoluzione dell’Urss, con due pubblicazioni che comunque restano ai margini dei media nazionali. La prima, cartacea, che è il file rouge dell’originaria in quanto voce dell’attuale Partito Comunista e la seconda, online e internazionale, completamente filogovernativa. Questa scissione avvenne nel 1991 quando Boris Eltsin, primo presidente della nuova Federazione russa e sull’onda del nuovo “liberalismo” accettò la richiesta di acquisto da parte di un imprenditore greco che fece di Pravda International la voce del conservatorismo e nazionalismo interno per poi, però, finire acquistata dal Partito Comunista della Federazione russa che la rese di nuovo organo ufficiale. Una parte della redazione che si ribellò a questo passaggio, nel 1999, fondò Pravda.ru, sito online che pubblica anche in inglese e portoghese sotto il controllo di un oligarca vicino a Putin. Rappresenta bene il nazionalismo senza aver mai rifuggito da teorie complottiste ed oggi è regina delle fake propagandistiche del Cremlino sulle “operazioni speciali” in Ucraina.

L’erede più certo è, come abbiamo visto, la Pravda cartacea, organo del Partito Comunista russo. che mantiene il logo e il motto dell’inizio: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. La redazione è ancora in una parte degli uffici storici di Mosca, fra busti di Lenin, Stalin e Marx, e il giornale esce a giorni alterni in formato da massimo otto pagine. La Pravda oggi non tira più di centomila copie e si presenta come voce di un partito che fa un’opposizione di facciata allegramente accettata da Putin in quanto mite e soprattutto in linea governativa relativamente alla politica estera. Del resto, il presidente del Partito Comunista russo Zjuganov, sin dal 2014, sosteneva che la Russia avrebbe dovuto riconoscere le due repubbliche autoproclamate del Donbass. Forse anticipava addirittura Putin.

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