di Lucia Mora
La bussola del ciclismo punta verso Nord. Una sorta di aura mistica avvolge la cosiddetta “Campagna del Nord”, ovvero quell’insieme di prove ciclistiche che con il tempo si sono costruite la reputazione di stella polare di questo sport. Parliamo in particolare di sei competizioni: tre classiche del pavé (Gand-Wevelgem, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix) e tre classiche delle Ardenne (Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi). Si tengono normalmente in primavera, durante il mese di aprile, e questo fa sì che spesso i corridori debbano vedersela con condizioni atmosferiche ostili e difficili da affrontare.
Lo sa bene chi corre la Parigi-Roubaix, lottando nel fango e respirando un’aria intrisa di polvere. Non a caso, è conosciuta anche come “Inferno del Nord”: oltre 250 chilometri di corsa, caratterizzata da un percorso che prevede diversi tratti di strada pavimentati con cubi di porfido o ciottoli che frenano la corsa e che provocano continui sobbalzi e vibrazioni, mettendo in difficoltà ciclisti e relativi mezzi con forature e problemi meccanici di vario genere. La Foresta di Arenberg e il Carrefour de l’Arbre sono l’incubo di ogni ciclista.
Spettacolarizzazione dello sport e imprevedibilità: sono questi dunque i due ingredienti segreti che contribuiscono a mitizzare le corse nordiche. Se le classiche monumento italiane (Milano-Sanremo e Giro di Lombardia) sono più tradizionali e di conseguenza un po’ più prevedibili, al nord le sorprese non mancano mai. Anche chi sembra avere dalla sua un buon vantaggio non osa esultare fino all’ultimo secondo, perché sa bene di poter restare impiantato su quelle salite ripidissime (i cosiddetti muri, che al Giro delle Fiandre fanno la differenza), o di poter perdere velocità perché stremato dalle lunghe distanze, o di poter essere ripreso dagli inseguitori a causa di una malaugurata foratura o di una caduta, perché sul fango – si sa – basta un attimo per slittare.
Ai due ingredienti si possono aggiungere volendo anche altri due fattori fondamentali, che sono poi uno la conseguenza dell’altro. Il primo: il ruolo chiave di queste competizioni in vista dei Grandi Giri. Svolgendosi in primavera, le classiche sono il terreno ideale per cominciare a testare la propria forma fisica e ad abituare le gambe ai ritmi di gara. Le grandi stelle del ciclismo mondiale cominciano a farsi vedere in pubblico e a darsi battaglia qui, sul pavé. Ne consegue – e arriviamo al secondo fattore – che la prestigiosa nomea di cui si fregiano le classiche del nord sia dovuta in buona parte proprio alla startlist, cioè alla presenza di nomi molto attesi dal pubblico.
A maggior ragione in Belgio, dove si snoda la maggior parte delle strade delle classiche e dove il ciclismo è particolarmente amato. Basta vedere l’entusiasmo delle persone che si posizionano lungo i percorsi per fare il tifo, o anche solo pensare alla nazionalità degli unici tre corridori che sono riusciti ad aggiudicarsi almeno una volta tutte e cinque le classiche monumento: Eddy Merckx, Roger De Vlaeminck e Rik Van Looy. Tutti belgi, ça va sans dire.
Riassumere l’epicità di queste competizioni in poche righe è difficile. Anzi, è impossibile. Vanno viste, seguite, attese e acclamate, con il fiato sospeso finché la ruota non taglia il traguardo. Il 17 aprile non potete quindi mancare all’appuntamento: la Parigi-Roubaix, l’Inferno del Nord, vi aspetta. Non ve ne pentirete.