di Marcello Cecconi
Non è che l’Italia, negli ultimi decenni, abbia mai brillato in fatto di natalità ma i dati Istat del 2020 sono impietosi. Se solo dieci anni fa il rapporto decessi/nati era di 100/97 e nel 2019 era ridotto a 100/67, nel 2020 è piombato a 100/54. Si potrebbe obiettare che quest’ultimo dato dipende dal numero di decessi repentinamente aumentato per il Covid ma non è così, almeno non è solo per questo, in quanto le nascite 2020 sono -3,8% rispetto all’anno precedente con la media figlio per donna scesa dall’1.27 all’1.24.
Del resto dal grafico Istat possiamo vedere come il crollo delle nascite del 2020 si sia accentuato a dicembre a dimostrazione di come il lockdown di marzo dell’anno scorso abbia iniziato a incidere negativamente sul decidere di mettere al mondo un figlio. Il crollo è continuato e cresciuto vertiginosamente in gennaio scorso quando sono nati in Italia 30.767 bambini, come registra l’istituto statistico, figli del secondo mese del lockdown, aprile del 2020. È un crollo di oltre il 14% rispetto al gennaio di un anno fa e lascia presagire a un 2021 ancora più avaro in fatto di nascite. Solo dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl, al febbraio del 1987, avemmo un crollo simile. Allora fu la preoccupazione delle coppie, anche abbastanza razionale, di concepire figli malformati, mentre adesso si spiega con la paura di un’incertezza profonda e radicale che la pandemia e i vari lockdown hanno lasciato.
Il nostro paese, agli ultimi posti in Europa e nel mondo per tasso di fecondità e con la pandemia che le sta dando un ulteriore colpo, non può non interrogarsi sul proprio futuro. Alle cause strutturali profonde delle civiltà industriali dove la riduzione del numero dei figli è un processo iniziato da molti decenni c’è da aggiungere quelle più recenti: l’allungamento del periodo di scolarità e il conseguente ingresso tardivo nell’età lavorativa. Questo, in un ’Italia che, d’altra parte, ha anche il record europeo della disoccupazione giovanile da un lato e dall’altro una precarietà, che negli ultimi dieci anni, ha soffocato ancor di più le prospettive e le aspettative di chi desideri creare una famiglia e crescere bene i figli.
La discussione è aperta da tempo e la filosofa Giorgia Serughetti, su Domani, dà il suo contributo: “Il dibattito sul tema appare stretto tra un discorso tecnocratico, preoccupato della tenuta del sistema fiscale e contributivo, e un discorso populista, che guarda alla denatalità come minaccia alla famiglia tradizionale e della popolazione “nativa”. Stenta, invece, a emergere una visione progressista, capace di legare la sfida demografica alla immaginazione di forme democratiche ed ecologiche per il futuro. Ma come possiamo ragionare di giustizia sociale, generazionale, ambientale se ci pensiamo come gli ultimi su questa Terra?”
Queste sue affermazioni, dove non mi è difficile riconoscermi, fanno riflettere sulle insignificanti misure che la politica ha, fino a oggi e con fatica, partorito e senza mai un disegno di lungo respiro. La crisi, prima finanziaria e poi economica che il nostro paese da anni sta attraversando, ha condotto i vari governi che si sono succeduti, centro destra o centro sinistra senza sostanziali differenze, a politiche redistributive in risposta alla progressiva frantumazione della domanda sociale che non ha risolto ma, anzi acuito, i problemi di giustizia sociale, generazionale e ambientale. Troppo urgente la egoistica necessità dei partiti di riscuotere a breve, alla cassa elettorale sempre aperta, gli attesi premi delle mediaticamente sbandierate misure messe in campo.
Eppure la pandemia, causa di ulteriore insicurezza e aggravamento di crisi economica, potrebbe diventare opportunità per tentare un nuovo slancio in questa direzione. L’aiuto di un Europa che finalmente dà segnali di “Europa Unita” potrebbe aiutarci, e in un certo senso “forzarci”, a dare una prima risposta, se non risolvere del tutto, la problematica sociale, ambientale e generazionale. Molti di questi temi, compresa la realtà demografica, trovano spazio e finanziamenti importanti nel Piano di ripresa e resilienza che Mario Draghi ha presentato alle Camere. La sfida sarà quella di avere la capacità burocratica di attivare in tempo e nel tempo le varie misure del piano e quelle che di conseguenza seguiranno. Se la politica lo permetterà, sarà un aiuto importante per ridare speranza al futuro dell’Italia, alle nuove generazioni a anche alla genitorialità da tempo in profonda crisi con il futuro.