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Qualcosa si muove per fronteggiare il degrado dei social

Serve una riflessione su come tamponare fenomeni che nulla hanno a che fare con la libertà della Rete. Lo hanno capito sia la presidente della Commissione Europea von der Leyen, che il Garante della Privacy 

Qualcosa si muove per fronteggiare il degrado dei social
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Daniele Magrini Modifica articolo

27 Gennaio 2021 - 23.18


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Qualcosa si muove per arginare il degrado che viaggia sui social e tracima nella vita reale. Che non è certo solo dentro la realtà digitale. Ma troppi fatti degli ultimi tempi rendono opportuna una riflessione operativa su come fare a tamponare fenomeni che nulla hanno a che fare con il concetto della libertà della Rete. Lo hanno capito bene sia la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che il Garante della Privacy:  “Dobbiamo contenere il potere immenso delle grandi compagnie digitali. Significa che ciò che è illegale offline dev’esserlo anche online”.  Lo ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento al Forum di Davos 2021, forzatamente on line a causa dell’epidemia.

Pare l’uovo di Colombo: perché ciò che è fuori legge nella vita reale, quella “analogica”, dovrebbe invece godere di un regime privilegiato on line nella vita digitale, peraltro sempre più invadente delle nostre esistenze? Facciamo un esempio, tristemente drammatico in questi giorni: se qualcuno davanti a una scuola invita bambini a mettersi un cappio al collo, viene arrestato. Se invece attraverso un social media inventato in Cina e diffuso in tutto il mondo, che si chiama Tik Tok, la stessa pratica diventa una sorta di gioco estremo anche a prescindere da Tik Tok e sfocia nella morte di uno o più bambini, che cosa si deve fare? Inneggiare alla libertà della Rete, stare a guardare, colpevolizzare i genitori o prendere misure rapide e radicali che salvaguardino i bambini, prima di tutto, quantomeno vietando l’accesso a quella piattaforma ai minori di 16 anni?

Si può obiettare: ma tanto viene trovato il modo di aggirare il limite di età. Una efficace risposta a questa obiezione l’ha già data il Garante per la protezione dei dati personali che ha disposto per TikTok  – come riporta Repubblica “il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica. Questo equivale in pratica a un ordine di blocco immediato, perché TikTok non ha al momento strumenti di verifica sicuri dell’identità e per il sito significa l’impossibilità di operare in Italia senza violare il provvedimento del garante. La tecnologia – precisa Repubblica – permetterebbe di accertare l’età, ma TikTok non utilizza al momento questi strumenti: questo conferma la necessità di un blocco”, spiega Guido Scorza, componente del collegio del Garante. Altri social, come YouTube, riescono invece a verificare l’età degli utenti in base ai propri dati. E’ chiaro che la questione riguarda tutti i social ma da qualche parte bisognerà pure cominciare. Il blocco durerà fino al 15 febbraio, poi si vedrà.

 Altro esempio: se Trump dice “andiamo all’assalto di Capitol Hill” in una piazza di Washington davanti a cinquemila esagitati viene inquisito, mentre se diffonde il suo messaggio a milioni di persone grazie al “rimbalzo” digitale delle camere dell’eco dove impazzano i suoi adepti barbari, deve poterlo fare ancora in nome della libertà della Rete?

Centinaia di garantisti digitali, in tutto il mondo, si ergono a difensori non tanto di Trump cacciato dalle piattaforme social, quanto da principi ben più elevati, peraltro ampiamente calpestati dallo stesso ex presidente Usa: se interveniamo in modo censorio sul mondo digitale – dicono sostanzialmente i garantisti – non sappiamo quante e quali censure ulteriori ne verranno fuori. Come se la libertà del mondo reale dipendesse solo dalla presunta libertà della Rete. Che non è più quella delle origini. Internet ha cambiato il mondo e consentito la diffusione delle conoscenze: è la più grande rivoluzione realizzata di ogni epoca. Bene. Ma oggi non è più così: la Rete è stata lottizzata dalle grandi web companies che attraverso la profilazione dei nostri dati sui social hanno acquisito un potere economico enorme. Senza neppure pagare il riscontro in tasse. E la profilazione dei dati ai fini della predittività dei consumi non fa differenze di età: attraverso la loro presenza sui social, anche i bambini vengono scandagliati nei loro gusti per trarne il massimo vantaggio possibile in termini di orientamento agli acquisti.

Non si può continuare a dire che la Rete garantisce libertà. Punto e basta. Ci sono delle sacche di illegalità che devono essere combattuti. E denunciati con maggiore coraggio, anche dagli intellettuali, dagli uomini di cultura, dai docenti delle Università, troppo spesso timorosi di essere definiti retrogradi semplicemente perché chiedono un Rinascimento della Rete all’insegna della civiltà. Come ha fatto e fa quello che è ritenuto il padre del web Tim Berners Lee. Nel 30° della sua creatura, il 12 marzo 2019, ha scritto una lettera aperta sui tre vizi capitali della “sua” creatura, che ha così riassunto:

“1. essere un terreno aperto per chi abbia intenti nocivi. Gli hacker, per esempio, ma anche i molestatori on line, i cyberbulli, i truffatori, gli adescatori di minori, chiunque voglia utilizzare la Rete per compiere atti criminali.
2. produrre conseguenze negative, anche se non intenzionali, come il tono spesso degenerato e la qualità, spesso infima, delle discussioni tra gli utenti, che davanti al loro computer assumono toni esasperati.
3. Essere sempre più caratterizzata da modelli a incentivi perversi, in cui il valore dell’utente viene sacrificato, come i modelli di reddito basati su annunci che premiano commercialmente clickbait e la diffusione virale di disinformazione attraverso fake news”.

Su tutto questo non può non esserci una nuova vigorosa contrattazione tra le nazioni del mondo e la super-nazione dei padroni del web: “Vogliamo che le piattaforme digitali siano trasparenti sugli algoritmi e sia definita chiaramente la loro responsabilità su come selezionano e diffondono contenuti” ha detto, sempre a Davos la Presidente della Commissione Europea. Bene. Da qualche parte sarà il caso di cominciare. Per esempio, togliendo i “giocattoli digitali” pericolosi dalle mani dei bambini.

 

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