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La digitalizzazione che ha fatto dello smartphone una protesi operativa del nostro corpo

Durante la pandemia in tanti, il palinsesto se lo sono fatti per conto proprio, tra Netflix e Amazon Tv, tra l'ultima serie in contemporanea con gli States e il vecchio film rintracciato su you tube.

La digitalizzazione che ha fatto dello smartphone una protesi operativa del nostro corpo
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Daniele Magrini Modifica articolo

8 Dicembre 2020 - 14.48


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La dieta mediatica è sempre più liquida e fatta in casa. Nel senso che crescono sempre di più coloro che rifiutano la “pappa scodellata” dei palinsesti televisivi. E il “faidate” è sempre più condizionato dalle proprie pulsioni del momento, approfittando delle ibridazioni consentite dalle tecnologie digitali. La tv è l’ambiente dove questo fenomeno si afferma. Cala la fruizione tradizionale del 2,5%, mentre cresce la tv via internet che arriva al 34% e la mobile tv, 28%. 

Se il media è il messaggio, ciò che emerge dal 54° rapporto Censis in merito alla comunicazione, è abbastanza chiaro. Nell’anno pandemico, in cui siamo stati più in casa per costrizione, se è vero che la tv è stata la padrona tra i media, alla fine i palinsesti bloccati su talk show logori nelle formule e monopolizzati dalle baruffe tra virologi, duellanti spesso sul nulla e non permeati da alcuna certezza, hanno mostrato la corda. Così, in tanti, il palinsesto se lo sono fatti per conto proprio, tra Netflix e Amazon Tv, tra l’ultima serie in contemporanea con gli States e il vecchio film rintracciato su you tube.

Una fuga, forse, anche dalla martellante macchina mediatica del panico che imperversa da marzo e che rende cupi i giorni in lockdown e zona rossa. “Meglio sudditi che morti” può infatti essere la sintesi efficace del 54° Rapporto Censis sulla situazione dell’Italia nel 2020, anno della pandemia. Riassume il senso dell’adesione dei cittadini (il 57,8%) alle restrizioni imposte dal Governo. Ma il 73,4% indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia il sentimento prevalente. Forse è per sfuggire questa angoscia dilagante che gli italiani hanno preso l’abitudine di predisporsi da soli la propria offerta televisiva. Per rispondere al proprio stato d’animo più che per disintermediare l’intrattenimento.

Del resto, la digitalizzazione dei consumi mediatici sta sempre di più spingendo verso un approccio individuale alla comunicazione convergente sulla Rete. E non è più solo la Tv a proporre modelli, peraltro, negli anni della dittatura dei reality decisamente poco credibili. Non è un caso che qualsiasi influencer rozzo o rozza che si esponga sui social, faccia molto più opinione di raffinati e colti editorialisti di grandi testate seduti sul sofà di un talk show televisivo. 

Perché non è tanto una questione di qualità della proposta, ma di strumenti. In poco più di una decina di anni la spesa per l’acquisto di smartphone è cresciuta del 298%. Nello stesso periodo la spesa per giornali e libri è calata del 38%. Le gerarchie sono chiare, del resto, ormai da tempo. Ed è palese che ormai sia proprio lo smartphone, con tutte le applicazioni che consente, il signore e padrone della modalità di comunicare nel terzo millennio. E dentro lo smartphone impera la Ferragni, non il forbito commentatore.

Era tutto previsto? I costruttori dell’hardware e dello stesso prodotto nudo e crudo – il telefonino – erano consapevoli di avere in mano un nuovo manufatto, rinnovabile anno per anno, se non giorno per giorno, in grado di produrre guadagni colossali (7 miliardi di euro in più solo nell’ultimo anno, peraltro pandemico)? Difficile dirlo. Certo è che lo smartphone è ormai una sorta di protesi operativa del nostro corpo. Il 76% degli italiani tra i 14 e i 29 anni utilizza you tube, e comunque lo fa il 57% della popolazione; il 55% se ne sta per un paio d’ore di media al giorno su Facebook; il 90% dei 30-44enni usa whatsApp. Per farci cosa? Durante la pandemia anche per stare in contatto col mondo. Almeno da remoto. 

Mentre in tv il virologo annunciava l’Apocalisse, contemporaneamente grazie alla videochiamata sullo smartphone c’era modo di chiacchierare con nonna Elvira che mostrava la sua ultima torta, o con la fidanzata lontana o con l’amico rimembrando antiche zingarate. Un aggiornamento del fenomeno del Second screen, ancora più personalizzato: la tv usata solo come sfondo, catturando qualche frase e poche scene accattivanti, con l’attenzione, invece, concentrata sullo smartphone per fare, come cantano Emma e i Boomdabash, “tutto quello che non si poteva”.

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