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Così il Tg1 sposa in maniera acritica la suggestione dell'algoritmo

Il telegiornale della rete ammiraglia ci porta sovente nel mirabolante mondo di Algoritmiland. Così in un servizio magnificava “L’intelligenza artificiale parla d’amore”

Così il Tg1 sposa in maniera acritica la suggestione dell'algoritmo
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Daniele Magrini Modifica articolo

2 Dicembre 2020 - 18.57


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“Molto pittoresco!” esclamava il personaggio della “romantica donna inglese” innamorata di ogni stranezza del Bel Paese, interpretato da Enrico Montesano in alcuni sketch esilaranti di fine anni Settanta. Sembra improntata a rappresentare il pittoresco, il curioso e il suggestivo anche questa nuova tendenza del Tg1 di mandare in onda servizi che riguardano le nuove tecnologie, le automazioni algoritmiche, l’intelligenza artificiale. Tutto ciò che appartiene a questo mondo, per la nave ammiraglia dei tg del servizio pubblico radiotelevisivo, è “ganzo”, come si dice in Toscana, cioè, appunto, pittoresco, suggestivo, curioso. L’ideale per concludere le scalette di tg bloccati sulla narrazione del dolore causata dall’epidemia.

Così, intorno al 20° minuto dell’edizione del TG1, il telegiornale leader nel nostro Paese ci porta sovente nel mirabolante mondo di Algoritmiland. Essendo dentro un Tg e non in una trasmissione dedicata, ci si aspetterebbe informazione invece che suggestione. Rappresentazione dei pro e dei contro – perché ve ne sono – di quella che il filosofo e psicanalista Miguel Benasayag definisce “La tirannia dell’algoritmo”. Invece, il tono è di sincero entusiasmo senza mediazione. L’ultimo servizio di questa serie, che sta tra una riedizione dei corsi di Radio Elettra e l’Eco della Silicon Valley, era intitolato: “L’intelligenza artificiale parla d’amore”. E raccontava che il New York Times aveva sfidato a parlare d’amore il Gpt3, un marchingegno basato su un algoritmo generatore artificiale di linguaggio. Il Tg1 ci informava anche che l’algoritmo ce l’aveva fatta, sciorinando frasi “più o meno romantiche”. E concludeva, dicendo che ormai non ci rimaneva che “attendere l’algoritmo in libreria”. 
Una volta almeno qualche intellettuale più attento sarebbe insorto, a tutela della letteratura di ogni tempo e del futuro. Magari ricordando le “Lezioni americane” di Italo Calvino, e quel suo monito premonitore contenuto nella Rapidità: “…In un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea – scriveva Calvino – la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto”. E quando fa riferimento alla “peste del linguaggio”, Calvino diffida soprattutto di piattezza e omogeneità.

Ma d’altronde, chi esprima oggi perplessità rispetto allo strapotere algoritmico che indirizza decisioni su tutto – dal colore delle regioni a rischio epidemico, alla concessione o meno di mutui chiesti alle banche per non chiudere un’azienda – e ora sa anche parlare d’amore, rischia di essere tacciato di passatismo, di luddismo perfino. Perché il potere degli algoritmi approfitta di un silenzioso consenso disinformato.

In un altro servizio della stessa serie sulle meraviglie di Algoritmiland, sempre intorno al 20° minuto dell’edizione, il Tg1 esaltava la possibilità di realizzare video con persone completamente inventate grazie agli algoritmi. Nel finale, appena si accennava alla pericolosità di queste nuove applicazioni digitali che si chiamano deepfake e che sfruttano l’intelligenza artificiale per sovrapporre il volto di una persona a quello di un’altra. Ne ha già fatto uso, per esempio, Trump contro la leader democratica delle Camera, Nancy Pelosi. E malintenzionati che hanno creato video per ricattare le star del cinema, infilate in scene del tutto sconvenienti assolutamente false. A cosa serve questo “giochino”? A creare il caos, il verosimile che non corrisponde al vero. Se la realtà diventa plausibile ma è lontana dalla veridicità, le persone che già dubitano di tutto, non sapranno più riconoscere la verità dalla menzogna. E questo non è un giochino. Così come Algoritmiland non è la terra promessa.

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