Sin dai tempi di Keynes, molti economisti hanno sostenuto e diffuso l’idea che la felicità economica collettiva dipende dalla volontà di spesa dei cittadini, che il risparmio tesaurizzato e non speso è una forma di ricchezza improduttiva avaramente sottratta al bene comune, e che spendere anche al di là delle proprie immediate risorse, talvolta indebitandosi, determina insieme con una circolazione ininterrotta di beni e denaro una crescita generale dei livelli di vita. Per dirla con Keynes (nel 1936) “Non vi è alcuna ragione perché l’investimento che io decido sia legato da un qualsiasi rapporto con l’ammontare del mio risparmio.”
Come ha dichiarato da poco Romano Prodi i denari che “giacciono in banca” sono sottratti alla circolazione e potrebbero essere usati per produrre altra ricchezza, una nuova prosperità collettiva: “Questo denaro deve essere messo in circolo con tutta la velocità possibile, accelerando e incentivando la spesa dei consumatori” (Il Messaggero, 17 maggio 2020).
L’importanza data, in vista di un “bene comune”, alla spesa, facilmente identificata come investimento, e cioè alla liquidazione del risparmio, e dunque alla veloce circolazione del denaro, un’importanza che fa dell’indebitarsi, almeno fino a un certo punto, una pratica virtuosa, richiama alla mente un’intera tradizione storica che per secoli ha contrapposto la tesaurizzazione improduttiva e avara (i soldi sotto il materasso o depositati in banca) alla loro fluidificazione e cioè al fatto di spenderli, di investirli e di farli circolare per fertilizzare in questo modo l’economia generale. Dal medioevo all’avanzata età moderna il risparmio accumulato è stato descritto come tipico dell’usuraio o del gretto ignorante, mentre il veloce reinvestimento del denaro guadagnato è stato presentato come caratteristico del mercante imprenditore, colonna degli stati e delle comunità, o del cittadino consapevole di quanto la sua piccola o grande ricchezza è importante per la società in generale.
Spendere e spossessarsi investendo era a tal punto inteso come segno di un atteggiamento economico moralmente corretto che, fin dal Trecento, l’amministrazione dei conventi francescani stabiliva il dovere di spendere tutto quello che i conventi incassavano così da creare un equilibrio fondato sull’indebitamento controllato che, a sua volta, avrebbe arricchito il territorio circostante. La povertà virtuosa ed evangelica dei frati prendeva corpo in un’abitudine di spesa e di indebitamento che di fatto li impoveriva ogni volta che i loro conventi cominciavano ad arricchirsi.
Che spendere fino a indebitarsi, o che reinvestire velocemente i propri capitali sia un dovere tanto economico quanto etico, è in effetti diventato per la razionalità economica occidentale un principio difficilmente discutibile.
Le sue implicazioni però sono molteplici e, come è noto, complesse, se è vero che le logiche della spesa veloce e della liquidazione del risparmio hanno potuto essere guidate e utilizzate da speculatori spregiudicati causando infine, nell’ambito di varie “bolle” e crisi finanziarie, ricorrenti negli ultimi vent’anni, abissi di indebitamento da cui vasti gruppi sociali non sono riusciti a riprendersi.
Il problema, ed è un problema dell’economia capitalista e tardo-capitalista in quanto sistema astratto e indifferente alla vita delle persone, sembra essere quello della fiducia che chi ha qualche soldo da parte dovrebbe nutrire nei confronti di chi, da esperto, mago o sacerdote della finanza, spiega agli ignoranti come devono spendere, investire e indebitarsi.
In effetti, il risparmio, l’investimento, la circolazione funzionano, oggi come nel medioevo, per mezzo del denaro o della ricchezza di qualcuno che, ben lungi dall’essere un “soggetto” economico virtuale, fa invece specificamente parte di un preciso gruppo sociale ed economico; spendere il risparmio ha dunque significati diversi se a spendere è chi ha quattro soldi da parte e nessuna competenza finanziaria né alcun potere politico, oppure chi, ricco di capitali e di conoscenza economica e politica sul come gestirli, li investe avvedutamente.
Insomma, anche nel caso del risparmio occultato, della spesa, dell’indebitamento e della circolazione è importante capire a chi conviene di più la liquidazione virtuosa del denaro accumulato. Il bene comune economico (e politico) per essere reale non può prescindere dagli interessi concreti dei gruppi meno privilegiati che compongono una società sedicente democratica.