Viviamo in un’epoca in cui sembra sempre più difficile accettare le sfumature e le complessità della realtà. Siamo costantemente sommersi da narrazioni semplificate che riducono ogni questione a una lotta tra bene e male, tra vincitori e vinti.
È la televisione una dei più grandi colpevoli, dove oramai i talk show e i dibattiti sono strutturati “come nella boxe”, direbbe Omar Calabrese: gli ospiti sono schierati su sponde opposte che devono difendere strenuamente.
Dire che la televisione sia una dei più grandi colpevoli è tanto vero quanto falso, alla fin fine la televisione trasmette quello che piace al pubblico. Chi programma i palinsesti e chi cerea dei nuovi formati lo sa bene: la televisione è come uno specchio nel quale si riflette la nostra immagine. Non c’è fatto di cronaca o di politica che non si semplifichi in un aut aut. Il problema non diventa più se è trattato un tema politico o sociale o di cronaca. L’approccio è, infatti, manicheo. Con i taxi o si solidarizza o si condannano; con i balneari si è d’accordo oppure si reputano il male della nazione; Chico Forti torna in Italia ed è il martire o l’ergastolano. Ogni argomento diventa uno scontro campale in cui bisogna schierarsi da una parte o dall’altra, senza possibilità di dialogo o di sintesi.
Nel modello televisivo si è accentuata, con la Seconda Repubblica, la spettacolarizzazione. Prima di allora il panorama televisivo era fatto anche di programmi che cercavano di sviscerare i fatti, che tentavano di far sentire una pluralità di voci e di confronti. È solo per nostalgici aggrapparsi al ricordo dei vecchi programmi televisivi come Tribuna Elettorale/Politica o Ring dove vi era un confronto largo dei politici con una platea di giornalisti che volevano entrare nel merito delle questioni.
È proprio con la Seconda Repubblica che la personalizzazione della politica e dei leader si fortifica sempre di più. Non a caso compariranno programmi televisivi come “O di qua o di là” e “Braccio di ferro” dove la contesa diventava frontale e che già nel nome mostravano quello in cui si apprestava a trasformarsi il dibattito politico e non solo.
Anche coltivando per anni questi modelli siamo arrivati dove siamo adesso. Le discussioni non solo in televisione, ma anche nella nostra vita quotidiana, sono diventate tutto un essere O di qua o di là, essendo sempre più proiettati a pensare in termini di vittoria o sconfitta, diventa difficile accettare compromessi, mediazioni.
I talkshow attuali anche scenograficamente sono strutturati in divisioni: un tavolo con due pro guerra e due antiguerra dall’altro lato, due sgabelli da un lato per chi è di sinistra ed altri due per chi è destra dall’altro lato e noi da casa a guardarli azzuffarsi sperando che la posizione che tifiamo riesca a sopraffare l’altro nel dibattito.
Lotta e polarizzazione ci piacciono, evocano i nostri sentimenti più primordiali. E’ come essere tornati al Colosseo.