di Marcello Cecconi
È morto a Roma, a 95 anni, Gianni Bisiach, il poliedrico e storico giornalista italiano che non aveva cadenze dialettali e che solo attraverso il cognome faceva intuire l’origine. Con lui se ne va un altro protagonista del servizio televisivo pubblico italiano.
Era nato il 7 maggio 1927 in quella Gorizia che per il Regno d’Italia rappresentava ancora il simbolo della vittoria e dei sacrifici della Grande Guerra e crocevia di culture mitteleuropee. Dopo il liceo si trasferì in Africa laureandosi in medicina all’Università dell’Asmara e specializzandosi poi a Roma in anestesia e radiologia. Si dedicò alla ricerca in Africa di malattie endemiche e malnutrizione e ritornato in Italia si concentrò sugli studi in psichiatria insieme a Franco Basaglia.
Ma la sua massima notorietà la conquistò dedicandosi al giornalismo e divenendo uno dei padri del giornalismo d’inchiesta televisivo. Entrò in Rai e dopo alcune inchieste per i notiziari e speciali per programmi culturali divenne il curatore della rubrica Testimoni oculari (1958-61). Nel dicembre del 1960 l’inchiesta in tre puntate sulle spedizioni polari di Umberto Nobile gli fece ottenere il record di oltre 28 milioni di presenze davanti allo schermo.
Altra inchiesta di successo per la tv pubblica fu quella sulla mafia nel 1962, il Rapporto da Corleone, che Bisiach fece in collaborazione col giudice Cesare Terranova che dalla mafia stessa sarebbe stato ucciso nel 1979. Inventò il titolo del settimanale giornalistico TV7, uno dei più prestigiosi della Rai e simbolo della gestione Bernabei, al quale darà un contributo determinante come inviato speciale mettendo in mostra la grande cura del racconto per immagini e l’attenzione alla regia e al montaggio.
Migliaia di servizi e puntate speciali di storia per tutti i canali Rai, compresa la rubrica durata tredici anni all’interno del TG1, dal 2001 al 2013, “Un minuto di storia”. Lo speciale sul terremoto dell’Irpinia, nel 1980, gli valse la medaglia d’oro della Protezione Civile mentre nella sua carriera giornalistica televisiva ebbe il merito di imbattersi a Londra negli appena assurti alla notorietà Beatles, di intervistare l’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié oltre a Reza Pahlavi, Scià di Persia.
Nella mente di molti radioascoltatori resta forte la sua voce, quella sua dizione accurata e senza accenti, legata alla popolarissima trasmissione radiofonica di Rai 1, Radio anch’io, che condusse dal 1980 al 1992 e alla quale fece assumere il format di talk show di politica e attualità.
Ma il suo lavoro non finiva in Rai, molti i suoi libri tra cui il best seller «Inchiesta sulla felicità» (Rizzoli, 1982) e «I Kennedy» (Newton Compton, 1999). Non ha mancato di dare il proprio contributo anche al mondo del cinema iniziando con collaborazioni alla sceneggiatura con Cesare Zavattini per Il tetto e I misteri di Roma e con Michelangelo Antonioni per Professione: reporter. Nel 1969 realizzò il film I due Kennedy, quasi un instant-movie, che ricostruisce la carriera politica, l’ascesa e poi la fine violenta dei fratelli del sogno americano spezzato, John e Bob. Il film prodotto da Angelo Rizzoli e Alfredo Bini ottenne il Premio Spoleto Cinema 1970 a pari merito con Luchino Visconti (La caduta degli dei) e Federico Fellini (Fellini Satyricon).
Con Gianni Bisiach non si chiude solo un capitolo della Rai dunque, ma scompare un pezzo di storia della cultura popolare che ha attraversato due secoli.