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Addio a Goffredo Fofi, il critico che ci ha insegnato a guardare altrove

Ha riletto Totò come figura tragica, ha creduto nel fumetto e nel documentario, ha formato generazioni di pensatori e lettori. Il suo metodo era quello della deviazione feconda, della rottura con le gerarchie consolidate

Goffredo Fofi
Goffredo Fofi
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11 Luglio 2025 - 12.02


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di Lorenzo Lazzeri

Goffredo Fofi è morto a 88 anni, lasciando un vuoto nel panorama culturale italiano. Nato a Gubbio nel 1937 è stato giornalista, saggista, critico cinematografico, letterario e teatrale, ma soprattutto un intellettuale militante che ha scelto, per tutta la vita, di stare dalla parte degli ultimi. La sua formazione politica e umana comincia giovanissimo, in Sicilia, al fianco di Danilo Dolci. Con lui combatte la povertà e la mafia usando la nonviolenza come strumento d’azione, ed è da quell’esperienza che egli incarna il modello di impegno che avrebbe seguito per tutta la vita: etico, rigoroso, lontano da ogni conformismo ideologico.

Negli anni ’60 fonda riviste come Quaderni Piacentini, Ombre Rosse e Lo Straniero, diventate punti di riferimento per generazioni di lettori e studiosi. Fu anche tra i primi a studiare il fenomeno dell’emigrazione interna con l’inchiesta “L’immigrazione meridionale a Torino” e a rileggere il cinema italiano in chiave sociale con “Servi e padroni”.

Ma è forse in merito a Totò nel “L’uomo e la maschera” – scritto con Franca Faldini – che lascia uno dei suoi contributi più importanti: il riscatto critico del comico napoletano, allora considerato solo intrattenimento popolare. Fofi seppe riconoscere il valore culturale di ciò che la critica accademica ignorava e lo fece sempre con spirito libero, scomodo, mai allineato. Con la rivista Gli Asini e le Edizioni dell’Asino ha promosso l’educazione popolare, la lettura critica della società e il sostegno a giovani intellettuali. È stato mentore di scrittori come Nicola Lagioia, Alessandro Leogrande, Roberto Saviano. Non credeva nei talenti isolati, ma nella costruzione di reti culturali alternative, capaci di sfidare l’omologazione e l’indifferenza.

Fofi non ha mai smesso di scrivere, leggere, discutere e fino nei suoi ultimi giorni parlava di nuovi progetti, nuovi libri, nuove battaglie. Non è stato un opinionista né un accademico, bensì un critico che ha costrutto la sue eredità attraverso riviste, saggi e letture condivise. Ci lascia una lezione estremamente importante, quella secondo cui : “la cultura deve servire a emancipare, a capire il mondo, a cambiarlo”.

Nel corso della sua vita Fofi ha dimostrato una capacità rara: quella di riconoscere l’intelligenza e la dignità ovunque si manifestassero, anche nei luoghi meno frequentati dalla cultura ufficiale. È stato tra i primi in Italia a riconoscere il valore del fumetto come forma d’arte e di racconto sociale, contribuendo a diffondere l’opera di autori come Andrea Pazienza e Hugo Pratt. Ha sostenuto il cinema documentario quando era ancora ai margini della scena culturale e ha difeso l’importanza della pedagogia, collaborando con educatori e operatori sociali in progetti destinati ai più giovani. La sua capacità di intrecciare mondi diversi – la scuola, il cinema, le periferie urbane, la letteratura – lo rendeva una figura capace di ascoltare e dare voce, più che di imporsi. In un’epoca di narrazioni semplificate, il suo metodo era quello della complessità, repellendo le risposte facili ma con l’urgenza di non tacere.

Come ha scritto Gad Lerner, che gli è stato vicino fino all’ultimo, Fofi era un “patriarca severo e buono”, un uomo giusto. Non cercava il centro ma preferiva i margini, dove le cose accadono davvero. Rimarrà la sua voce limpida, rigorosa, indomabile e una coscienza critica che continuerà a farci pensare.

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