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Quando salubrità e sostenibilità ambientale vengono venduti a caro costo

Che le aziende siano interessate ad aumentare i loro utili è cosa scontata, ma lo è anche rendere meno accessibili determinate categorie merceologiche, andando incontro a un sonoro controsenso?

Quando salubrità e sostenibilità ambientale vengono venduti a caro costo
Farine
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Agostino Forgione Modifica articolo

18 Dicembre 2023 - 17.27


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Crescendo si cambia. Se fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di diventare un fanatico delle farine, da qualche tempo il mio estro culinario mi ha portato a informarmi sull’argomento e sulle varie tipologie che esistono. Partendo dalla 00 fino a quella integrale, ciò che cambia è il grado di raffinatezza, via via sempre inferiore. Mentre nella prima è presente solo la parte più interna del chicco, la seconda, come il suo stesso nome suggerisce, ne conserva tutte le componenti. A rigor di logica, dunque, è la farina doppio zero che dovrebbe costare più di quella integrale, visto che è frutto di un processo di produzione che, differentemente dall’altra, è privo di scarti.

Gli scaffali dei supermercati, tuttavia, raccontano un’altra storia. Un pacco di farina integrale, in media, costa tre volte in più rispetto a una molto più comune 00. Qualcosa di impensabile e antitetico rispetto a quanto accadeva fino a un secolo fa, quando il pane integrale era destinato alle classi sociali meno abbienti. Se è pur vero che esistono (poche) ragioni effettive per cui il costo della farina raffinata tenda a scendere, come la maggiore domanda e la data di scadenza più lunga, in verità è uno l’aspetto che paghiamo a caro prezzo: la maggiore salubrità. 

A oggi, infatti, la salubrità di un prodotto è un valore che viene investito economicamente spesso al netto di altre variabili che, più razionalmente, dovrebbero sancirne il costo. Un fenomeno che gli amanti degli alimenti vegetali dovrebbero conoscere più che bene e che porta a farsi una domanda: com’ è possibile che il più delle volte un burger vegetale costi più di uno di manzo? Una constatazione che apre a un’ulteriore riflessione, soprattutto circa i reali intenti delle aziende che si professano come paladine della sostenibilità ambientale e del benessere animale. Si può dire che quest’ultime abbiano davvero a cuore tali obiettivi se poi, nel concreto, scremano deliberatamente l’accesso a tali prodotti a una grande fetta di consumatori?

Scegliere un’alimentazione a ridotto impatto ambientale per molti non può essere una scelta contemplabile. Un vero e proprio controsenso se si pensa che, ad esempio, una confezione di cotolette di pollo costa molto più rispetto a una di soia, mangime quest’ultimo con cui i polli paradossalmente vengono allevati.  Casi analoghi, nel mondo alimentare, ce ne sono a decine.

La triste conclusione purtroppo è una: ciò che interessa alle aziende , anche quelle che si professano sul mercato come più o meno “green”, è la massimizzazione dei loro utili, poco importa se per fare ciò vengono adattati comportamenti decisamente poco etici, per non dire ingannevoli. Cosa possiamo fare noi come consumatori? Basterebbe mettere un po’ più le “mani in pasta”.  

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