Più di altri, Pier Paolo Paolini ha saputo introdurre nella sua poesia l’Italia degli anni Cinquanta, sfregiata e segnata fatalmente dai cambiamenti sociali e culturali che il boom economico portava con sé. Ne Il pianto della scavatrice (1957) l’io lirico passeggia afflitto per Roma, ed è malinconico e nostalgico di quei luoghi ormai urbanizzati che non riconosce più. I ragazzi del proletariato che giocano fanno rinascere in lui sollievo e speranza, ma tali sentimenti sono destinati ad avere vita breve: l’indomani mattina, anche quel piccolo microcosmo vitale suburbano, sarà spezzato dal suono della scavatrice, che più che un rumore meccanico, emette un grido umano.
Montaggio e video: Francesca Anichini