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Sojourner Truth: la lotta di una “maestra ignorante” per i diritti civili

Sojourner Truth, schiava ribelle del '800, sfida sopraffazione e razzismo, promuovendo alleanze intersezionali per emancipazione femminile e razziale.

Sojourner Truth: la lotta di una “maestra ignorante” per i diritti civili
Sojourner Truth
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13 Dicembre 2023 - 01.35 Globalist.it


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di Sandro Luce *

La storia dello sfruttamento, delle discriminazioni e delle violenze subite dalle donne nere è lunga e drammatica. Tuttavia, all’interno del dominio patriarcale, e più in generale delle strutture di potere e oppressione forgiate nell’Occidente bianco, emergono, dal silenzio e dall’invisibilità ai quali sono state consegnate, alcune potenti storie di donne che non si sono arrese a quella realtà.

Una di queste testimonianze è offerta dalla biografia di Sojourner Truth (Schiava e libera. Storia di Sojourner Truth pioniera dei diritti civili) di recente pubblicata dalla Stilo Editrice (pp. 143, euro 16,00: https://www.stiloeditrice.it/scheda-libro/autori-vari/schiava-e-libera-9788864792651-226.html), con traduzione e cura di Raul Lolli e un’utile introduzione di Thomas Casadei. 

Il ritratto di questa donna, nata sul finire del ‘700 in condizione di schiavitù, ci trasporta in un mondo nel quale la crudeltà e l’abitudine ad essa sono così radicate da rendere normale anche comportamenti di spietata malvagità; un mondo nel quale persino la libertà diviene un fardello, quando viene concessa – come nel caso del padre di Sojourner Truth – quando si è troppo vecchi anche solo per badare a se stessi, “una libertà desiderata più dal padrone che dallo schiavo”.

L’essere venduti da un padrone all’altro, il lavoro disumano, gli abusi e le frustate costituiscono la ‘normalità’ della vita di uno schiavo che entra, sin dalla nascita, in un ‘ordine delle cose’ che spesso finisce per accettare come se fosse naturale, tanto da arrivare a considerare buono come un Dio il padrone che ti tratta con la stessa amorevolezza che riserva agli animali e dando solo poche frustate.

Resistere a questa macchina di violenza e sopraffazione, rifiutarne i meccanismi di gerarchizzazione razziale e sessuale significa innanzitutto sfidare il sistema di significazione sul quale si regge quell’ordine, che lo ha reso così radicato da farlo sopravvivere anche alla sua abolizione formale avvenuta nel 1865. Ecco allora la decisione di cambiare il proprio nome (quello originario era Isabella Betsey), il gesto con il quale rifiutare l’atto di nominazione che l’avrebbe incastonata in un’identità che non era né sentiva sua, sovradeterminata dalla specificità di un contesto razzista e sessista. Come avrebbe detto in seguito Frantz Fanon, il Padrone bianco mi ha riconosciuto ma come Nero, un riconoscimento che nasconde la tragica asimmetria di un asservimento che rimuove qualsiasi potenzialità emancipativa del movimento dialettico. Rivolgere un’azione critica verso chi domina e disumanizza significa sfidare i meccanismi di significazione inferiorizzanti messi in atto dall’egemonia del patriarcato bianco. Ma significa anche riuscire a sottrarsi al regime di invisibilità nel quale sono gettati gli schiavi di colore, prendendo parola in pubblico, raccontando ai fratelli e alle sorelle di colore che, a partire dalla propria esperienza concreta, è possibile cambiare la propria vita ed è necessario rivoluzionare il mondo, innanzitutto rifiutando le convenzioni e il peso delle abitudini che il regime schiavistico ha consolidato nel tempo.

Indubbiamente la biografia di Sojourner Truth – tutta in terza persona poiché scritta sotto dettatura per via del suo analfabetismo – ci mostra come in questo percorso di emancipazione la fede religiosa abbia avuto un’importanza decisiva, sia stata la molla emotiva che l’ha condotta lungo una nuova strada. Ma è la portata politica dei suoi posizionamenti a svolgere un ruolo determinante per scardinare i discorsi sulla razza e sul sesso che, come ha in seguito messo in luce bell hooks, negli Stati Uniti si sono sempre sovrapposti. La postura di Sojourner Truth ha infatti il merito di mettere in discussione non solo i meccanismi di razzializzazione dell’assetto sociale, culturale ed economico così come si sono articolati a partire dalla tratta dei neri, ma anche il processo di addomesticamento e subordinazione delle donne rispetto ai propri uomini, superando il dilemma di fronte al quale erano poste le donne di colore, ossia che sostenere la causa delle donne significava tradire quella antirazzista. Viene così aperto uno spiraglio su possibili alleanze intersezionali – in questa direzione il suo discorso più noto, Ain’t I a Women?, è una traccia importante – che per molti aspetti anticipa in maniera lucidissima alcune delle tesi che verranno sviluppate da una parte rilevante del pensiero femminista nel Novecento.

  • Ricercatore di Filosofia Politica – Università degli Studi di Salerno
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