Il 22 e 23 ottobre, a Racalmuto, sarà presentata una mostra che rievoca documenti e scambi di lettere di due grandi scrittori italiani: Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini.
Dall’archivio della Fondazione Sciascia e da alcuni scritti comparsi sul Corriere della Sera, datati 1975, è emerso un importante confronto tra i due scrittori, e amici, in particolare su un tema di forte impatto contemporaneo: l’aborto.
Studiosi, critici e scrittori saranno invitati a riflettere sull’eredità culturale lasciata dalle vecchie alle nuove generazioni di intellettuali, durante gli incontri di “Cent’anni di solitudine: la generazione (1921-’25) di Sciascia e Pasolini“. I due scrittori, che erano profondamente legati sia umanamente che intellettualmente, condivisero anche la condizione di “ultimi eretici” e coscienza critica del Paese.
Edith Cutaia e Vito Catalano, curatori della mostra, hanno prestato particolare attenzione a far emergere questo legame, attraverso l’esposizione di un epistolario tra i due scrittori, ma anche lettere firmate da altri personaggi come Vincenzo Cerami, Enzo Siciliano, Nico Naldini e dello stesso Sciascia.
Sempre dall’archivio storico della Fondazione verrà esposto un documento significativo: il dattiloscritto del primo capitolo di “L’affaire Moro“, prodotto da Sciascia subito dopo il rapimento di Aldo Moro e delle vicende ad esso legate.
Tra le carte, si può leggere anche ciò che è rimasto del confronto tra i due amici sul tema dell’aborto. “Sono (…) contrario alla legalizzazione dell’aborto – scrisse Pasolini sul Corriere della Sera del 19 gennaio 1975 – perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano (…) io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente”.
Sciascia gli rispose, sempre sul Corriere, il 26 gennaio 1975, descrivendo Pasolini come uomo religioso. “In quanto tale – aggiungeva – egli reagisce a tutto ciò che gli appare degradazione ed offesa della vita”; a tutto quello che gli appariva come un “immane meccanismo, una terribile catena di smontaggio: di smontaggio dell’uomo in nome della felicità”. Il confronto non scadde mai nel litigio, rivelandosi sempre pacato e civile. Sciascia dimostrò interesse per le opinioni dell’amico letterato, e ne riconosceva anche un tratto di verità, nonostante la sua posizione fosse diversa. Favorevole all’aborto, si, “ma con innocenza, non con irresponsabilità, non senza apprensione”.
Due fronti diversi, quindi, ma due autori sempre vicini perché “avevano pensato le stesse cose, detto le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose”.