La lettura dell’epistolario di un artista è un’esperienza emozionante, intellettualmente ed umanamente formativa. Le missive vergate nel corso degli anni costituiscono un prezioso strumento per accedere al suo mondo interiore, una chiave d’accesso al suo laboratorio creativo, in alcuni casi rappresentano il romanzo di una vita.
Accogliamo dunque con gioia il libro pubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore, che raccoglie il carteggio di uno dei più grandi scrittori della letteratura mondiale, Fëdor Dostoevskij (Lettere, pp. 1376, € 75, traduzione di Giulia De Florio, Alice Farina e Elena Freda Piredda).
Puntualmente curato da Alice Farina, autrice di una pregevole introduzione a cui s’affiancano degli acuti “Appunti di traduzione” di De Florio e Piredda, corredato di note a piè pagina che chiariscono il contesto storico e letterario, il sostanzioso volume presenta le lettere dello scrittore russo redatte in un arco temporale che va dal giugno 1832 al gennaio 1881: la quasi totalità, restando solo escluse alcune missive di natura burocratica e relative a circostanze personali che nulla avrebbero aggiunto.
Un corpus epistolare che si legge come un’autobiografia, la summa esistenziale di uno dei giganti della storia della letteratura d’ogni tempo. In esse si compone infatti il Dostoevskij uomo, con le sue fragilità, le passioni, gli ideali, “un uomo infuocato che brucia di vita”, che ama sino allo smarrimento del senno e diventa schiavo del gioco, alle prese con gli ineludibili affanni e inciampi del quotidiano (i debiti, i problemi di salute) che si frappongono al fare artistico. Insomma, queste lettere, che sappiamo scritte direttamente in bella copia e subito spedite, non sono meri esercizi di stile, ma “spazio del dolore e delle piccole o profondissime gioie, la cronaca puntuale di un’esistenza travagliata”.
Com’è stato lucidamente notato nella felice introduzione al volume, in questo carteggio si assottiglia la distanza tra parola e realtà, come e più nei romanzi: esso si configura come “vero punto di partenza creativo, fonte inesauribile di verità”. Ad abbandonarvisi, ci si ritrova immersi nella stessa rapinosa malia e nel calore incandescente delle opere narrative, si avverte l’irrequietezza e la febbrile passione dei personaggi romanzeschi, la bulimia di vita, l’indomita lotta con i demoni interiori, le rovinose cadute e le impervie risalite, il faustiano intento di spingersi verso l’oltre: “In tutto arrivo al limite estremo, per tutta la vita ho oltrepassato il limite”, scrive Dostoevskij ad un amico.
Risuona, in queste lettere, lo straordinario umanesimo della sua opera, lo scandaglio del cuore e della psiche: “L’uomo è un mistero” scrive al fratello maggiore Michail. “Un mistero che dobbiamo decifrare […] io mi occupo di questo mistero perché voglio essere un uomo”, “un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, qualunque disgrazia capiti” (come non pensare all’immortale Raskol’nikov?).
E ancora, vi ritroviamo l’amore totalizzante che ebbe per le due mogli, per Michail (col quale intrattenne anche un intenso rapporto intellettuale), l’inappagabile desiderio di libertà: “Il mio unico scopo è la libertà. Per lei sacrifico tutto” scrive appena diciassettenne al fratello. Una libertà che in lui non ha la rigida fissità d’un freddo ideale, ma è qualcosa di vivo e palpitante, che accompagna e segna ogni azione, ogni scelta, ogni pensiero.
Non manca, naturalmente, il tema del rapporto con la fede, “testo aperto e in divenire”, altro intimo e lacerante tormento, poiché nel suo animo profondamente religioso alberga il dubbio sistematico: “Io sono un figlio del secolo” scrive nel 1854, “sono un figlio del dubbio e della miscredenza”, e la “sete di fede mi è costata e mi costa spaventose sofferenze”. Perché, come mirabilmente notato da Bachtin, nel mondo di Dostoevskij tutto “vive esattamente al confine con il proprio contrario”.
Vi sono poi dei brani di estremo interesse in cui Dostoevskij analizza le proprie creazioni: una critica d’autore, uno sguardo che anatomizza i suoi romanzi e se stesso, testimonianza dello sconfinato amore che il loro autore nutriva per la letteratura, considerata sempre come luogo di poesia e di verità.
Ma, oltre a presentare la radiografia di un artista e di un uomo, questo carteggio offre anche lo spaccato di un intero secolo, di tutta una cultura e una nazione: si legge dunque anche come testimonianza storica, costituendo un irrinunciabile oggetto di studio, uno sguardo privilegiato per l’interpretazione di un’epoca e dell’opera che vi gemmò.
In definitiva, poiché di Dostoevskij non esistono diari, le lettere raccolte in questo volume costituiscono il racconto di un uomo, di un’artista e del suo tempo, del segno indelebile che ha lasciato nella cultura mondiale di sempre.