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Gianna, Floriana, Rosaria … L’incubo della violenza nei “fotogrammi” di Sabrina Di Paolo

Pugni, urla, paura in casa, assalti … Un racconto della scrittrice dai toni asciutti ed efficaci su atti che definire “amore” è ipocrisia o complicità morale: potete leggerlo qui

Gianna, Floriana, Rosaria … L’incubo della violenza nei “fotogrammi” di Sabrina Di Paolo
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25 Novembre 2020 - 09.19


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Il rientro in casa di un uomo in casa che terrorizza. Basta dimenticare il vino per finire picchiate e stuprate dal marito o dal compagno. Per il 25 novembre, la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, su gentile concessione di Nem Editore pubblichiamo un breve racconto di Sabrina Di Paolo che, grazie a toni asciutti, attraverso scene brevi e taglienti, risulta ancora più efficace nel fotografare con la parola una quotidianità di tante donne. La scrittrice sa anche inquadrare come definire “amore”, anche e soprattutto nei media, il comportamento di quegli uomini sia pura ipocrisia o, peggio, segno di una inconsapevole e grave complicità morale con il carnefice.
Il racconto è tratto dalla recente raccolta “Fotogrammi” (Nem Editore, pp. 144, euro 15), la seconda pubblicazione dell’autrice dopo l’esordio con il romanzo “Il Grande Cerchio”, disponibile su Amazon. Dopo aver lavorato per anni nel settore dell’aviazione civile, Sabrina Di Paolo (Roma 1969) insegna Lingua e letteratura inglese, altra sua passione, e ha ideato e cura il blog www.sabrinalibri.it

Sabrina Di Paolo: Il soffio della vita

Mezzogiorno. Anna si affaccia alla finestra, l’aria tiepida di fine estate le accarezza i capelli; vorrebbe raccoglierli, li arrotola su se stessi, li tira su, poi cambia idea, con un gesto repentino li sparge tutti sulle spalle, disordinati, confusi.
Livia guarda il profilo dei tetti di Roma, li riconosce, li ha visti crescere in questi anni, sempre più numerosi. Hanno provato a nasconderle la vista del cupolone ma non ci sono riusciti; impavidi hanno sfidato la bellezza, l’eternità, la grandezza di un simbolo, ma senza successo. Li guarda tirarsi sulle punte delle loro fondamenta, per essere un po’ più alti, appena un po’, ma non ce la fanno, intrappolati nella banalità degli edifici cittadini, anonimi palazzi annullati dalla maestà di quella linea curva, chiara, così rassicurante. È essa stessa Roma, casa.
Angela guarda il paesaggio e sogna, non ha mai smesso, neanche quando quel pugno così forte, il primo di tanti, le ha annebbiato i pensieri, sfumato i colori, svilito il suo io più profondo.
Non importa, Gianna è ancora qui, affacciata alla sua finestra, ad ammirare Roma.
Mirella sente il rumore della chiave nella porta, i rintocchi festosi del campanile le dicono che sono solo le dodici; sta rientrando, questo significa che neanche oggi è riuscito a trovare un lavoro, un capomastro che lo assoldasse per la giornata, un imbianchino che lo reclutasse per qualche lavoretto.
Elisabetta impallidisce, le gambe le tremano, poi si fa forza e si dice che andrà tutto bene.
Rosaria si dirige verso l’ingresso, lui è appena entrato, gli accenna un sorriso. «Ciao, non ti aspettavo» dice, e nel momento in cui finisce di pronunciarle capisce di aver usato, come sempre, le parole sbagliate. Lui sbatte la porta dietro di sé, non ricambia il sorriso di Piera, anzi, la scruta minaccioso e dice: «Ho fame».
Allora Maria Pia si volta e torna verso la cucina, ansiosa di trovare qualcosa di adatto, ma niente lo è mai, qualcosa di buono, ma per lui è sempre insipido, qualcosa di gustoso, ma tanto dirà ancora che è uno schifo.
Mara fruga nella dispensa, poi mette l’acqua sul fuoco, per la fretta ne rovescia un po’; quando lui è in casa riesce sempre a renderla maldestra.
È entrato in cucina, Alessandra ne ha sentiti i passi, il respiro, ora ne percepisce anche il calore, è dietro di lei.

Floriana trema, ma lui si allontana, e con lui la paura di un’altra lite, di un altro…
Il sugo, la pasta, c’è tutto. Ora Tina può apparecchiare. Lei non ha fame, non riesce più neanche a stare seduta di fronte a lui, il cuore accelera in suo battito, lo stomaco si chiude… e pensare che lo ama, lo ama ancora.
Stamattina, guardando la cupola, ha pensato proprio alla prima e unica volta in cui ci è salita, proprio in cima, su in alto.
Saranno passati quindici anni, lui era in licenza, l’aveva chiamata a casa: «Vengo a prenderti fra mezz’ora, ho tutto il giorno e la sera per noi, preparati». E Luciana, fuori di sé dalla gioia, aveva indossato i suoi jeans nuovi, le ballerine nere, il giubbotto con le perline.
Erano saliti in cima al cupolone in una giornata calda e soleggiata, la città ai loro piedi, i pini come ancelle al loro servizio, i giardini Vaticani il loro parco segreto… erano così innamorati.
Il giorno dopo era ripartito, ma su quella cupola le aveva giurato amore eterno, e una vita insieme.
Carla aveva aspettato, impaziente e grata, il suo ritorno, un lavoro e un appartamento in affitto, non desiderava altro.
Quando tutto questo è finito? Giulia non riesce a ricordarlo. Dopo quel pomeriggio tutto aveva assunto contorni fumosi, tinte scolorite, triste cornice di una vita sempre più grigia. Eppure Antonella vede ancora l’amore, lo cerca, nascosto in quei denti digrignati, lo chiama tra le rughe di quella fronte sempre imbronciata; ed è certa che prima o poi, in mezzo alle macerie di quel rapporto malato, lo ritroverà, bello e allegro come quel pomeriggio.
La pasta è pronta. Laura mette in tavola un piatto abbondante, il parmigiano è grattugiato, l’acqua è sul tavolo, il vino… dannazione dov’è il vino? Vuoi vedere che è finito e non me ne sono accorta. Oddio, no! Magari non gli va, non me lo chiederà.
Lui si siede, osserva il piatto, cerca qualcosa, ora la guarda, Sandra trema di nuovo, se ne è accorto, non glielo perdonerà.
Nuccia fa finta di niente e torna alla finestra, vorrebbe essere aria, leggera, invisibile e libera; invece è lì, frenata da quel davanzale: il cielo è sempre più scuro, pioverà di certo, lo sente alzarsi, il traffico è aumentato, si vede che è ricominciata la scuola. Ora è dietro di lei, Valentina sente le mani che le afferrano i fianchi, nelle orecchie la voce alta che le chiede dove diavolo sia il vino, che le urla che come al solito non ha fatto la spesa e… Silvia ora non sente più la sua voce, sa già il seguito di questo film, ne conosce anche la fine. Il primo schiaffo non fa male, ma le gira il viso di scatto, torcendole il collo. Ora le afferra le mani: mossa inutile, Barbara ha imparato tempo fa a non opporre resistenza, sarebbe solo più lungo e doloroso.

Lui impreca, la sta offendendo, ma Olga non sente niente, è la protagonista di un film muto, in una di quelle scene che corrono più veloci della vita normale, ed è proprio ciò che Sonia desidera, vuole che la scena sia girata in fretta, vuole tornare in camerino, a medicarsi le ferite, a nascondersi dal mondo.
Il secondo è un pugno, la colpisce di nuovo sotto l’occhio destro, è lì che Patrizia fa cadere tutti i suoi riccioli, anche se è stanca di inventare scuse con i vicini.
Almeno i bambini sono a scuola, stavolta saranno risparmiati dall’ennesima scenata.
Lui ora la guarda minaccioso e con un calcio la spinge a terra.
Marta riesce solo a vedere il cielo, neanche la cupola può consolarla; dalla finestra entra un’aria fresca, aria di pioggia.
Adesso lui le sta sopra, le ha sollevato i vestiti… deve prendersi tutto oggi.
Maledetto vino, come ha fatto a scordarselo. Letizia non si dà pace.
Lui ora è dentro di lei: un dolore grande, forte, uno squarcio le apre la pelle.
Lo stesso dolore che per due volte l’ha fatta sentire grande, nel donare due vite a questo mondo, ora è un taglio, il soffio della vita non entra dentro di lei, stavolta qualcuno glielo sta portando via, le sta togliendo la linfa che dà senso a un atto che dovrebbe essere di amore.
Angelica resta sdraiata, lui è seduto ora, sta mangiando il suo piatto di pasta, ha acceso la tv.
Giorgia sente fiotti di liquido uscire dal suo sesso, e con esso la dignità e la vita.
Eppure lo ama, sa che prima o poi cambierà.
Il cielo è sempre più scuro, Ambra si rannicchia sul pavimento, le prime gocce cominciano a rinfrescare Roma, raggiungono anche il viso di Daria, lavano via il dolore, la vergogna, la tristezza.
La porta sbatte, è uscito, grazie a Dio, qualche ora di tregua.
Ora piove forte, la finestra è ancora aperta, e l’acqua ha ormai formato una piccola pozzanghera vicino ai piedi di Tamara che è ancora lì, lo sguardo fisso verso il cielo, a cercare la sua cupola, i suoi sogni, il suo unico amore.

Chi ha ispirato “Il soffio della vita?” Tutte le donne che in ogni angolo di mondo, inseguendo l’amore, sono continuamente stanate da una violenza che nulla ha a che fare con il sentimento che cercano, e meritano.

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