Eletto più volte a emblema della poesia omosessuale, il che non è errato purché non lo si ingabbi in questa cornice, Konstandinos Kavafis pubblicò appena 154 poesie. La casa editrice Donzelli ha da poco pubblicato invece la prima raccolta completa in italiano del poeta greco nato nel 1863 e morto nel 1933 ad Alessandria d’Egitto: Tutte le poesie, pp. XXIV-720, con testo a fronte, € 35,00, a cura di Maria Paola Minucci). È un’operazione editoriale imponente su un autore che tra altre cose rilesse in chiave moderna l’antica Grecia e che, come ricorda Wikipedia, “fu accusato di attaccare i tradizionali valori della cristianità, del patriottismo, e dell’eterosessualità, anche se non sempre si trovò a suo agio nel ruolo di anticonformista” e che fu assai apprezzato da Giuseppe Ungaretti e, poi, Pier Paolo Pasolini e resta uno dei poeti più amati dai lettori nel ‘900.
L’edizione data ora alle stampe comprende, oltre a quelle già note, «74 poesie nascoste, per la maggior parte inedite, che Kavafis riteneva di dover conservare “segretamente”, “testi da non pubblicare ma da conservare”, come lui stesso annotava, e 27 poesie tra le prove poetiche più antiche, che aveva poi rifiutato negli anni successivi», avverte Donzelli. Si tratta quindi di «un’opera poetica presentata per la prima volta nella sua completezza» e cita, a riprova dell’importanza di quanto è rimasto nascosto, questi versi: «Molte le poesie scritte/ nel mio cuore; e quei canti/ sepolti sono a me molto cari».
Kavafis faceva un lavoro certosino di revisione e distribuiva i testi in plaquette e fascicoli nella sua Alessandria d’Egitto, dove si immergeva spesso nei bassifondi per emergere dal lavoro di funzionario nel ministero dell’irrigazione inglese al quale attese dal 1885 fino al 1922. Le poesie di Kavafis divennero pubbliche nella raccolta postuma del 1935 e nella sua lingua, ha osservato Massimo Raffaelli sul Venerdì del 24 gennaio scorso, si avvertono echi di più culture e lingue, dal neogreco al francese, dal greco antico all’inglese. Il poeta visse infatti a Londra dal 1872 al 1879, dal 1882 al 1885 a Costantinopoli, altrimenti visse sempre nella città egiziana.
Riguardo a questa edizione Massimo Onofri su Avvenire del 18 gennaio, elogiando le cure editoriali di Paola Maria Minucci, scriveva: Se ci fermassimo al solo capitolo celebratissimo della sua poesia amorosa, noi avremo un poeta d’un tale livello che basterebbe già a farne uno dei protagonisti del primo trentennio del Novecento, come lo sono stati —per fare nomi di secoli tra loro distanti — Catullo e Penna. Ma Kavafis è un poeta molto più articolato e complesso, perché è soprattutto un poeta di crisi e trapasso di civiltà». Onofri riprende una delle sue liriche più conosciute, Aspettando i barbari, dove, all’attesa dell’arrivo dei barbari alle porte della città, quei barbari non arriveranno: «E ora senza barbari cosa sarà di noi? / Dopotutto, quei barbari erano una soluzione». Il poeta lì rimanda a Samuel Beckett, ricorda allora Onofri (ma forse fa pensare anche al Deserto dei tartari di Dino Buzzati), ed è un poeta che si concentra «sui personaggi minori, sugli sconfitti. Se il suo occhio si fissa su un vincitore — caso non raro —, si tratta d’un vincitore che sta conoscendo una sconfitta».