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Claudia Sarritzu: così può salvarci un femminismo del nostro tempo

Con un ritmo serrato il pamphlet "Parole avanti. Femminismo del 3° millennio" smonta molti luoghi comuni, inquadra uno stato di violenza diffuso e propone vie di soluzione

Claudia Sarritzu: così può salvarci un femminismo del nostro tempo
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25 Novembre 2019 - 09.35


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Lo stupro non è un atto di libidine del maschio infoiato, è un atto di potere. Uccidere una donna, di preferenza la moglie, la ex, la compagna, oppure la ragazza incontrata per strada, è crimine diverso dall’omicidio e chi lo definisce «raptus» o frutto di «amore distorto» mente a se stesso, mistifica, è ipocrita. Ogni tre giorni una donna viene violentata. Il primo e più efficace strumento per sminuire le donne, umiliarle, far valere il proprio potere sancito da una struttura sociale, è il linguaggio. Una sequenza di pensieri a casaccio? Nient’affatto: sono tra le tante riflessioni a cui spinge un pamphlet dal titolo “movimentista” e non d’occasione, Parole avanti. Femminismo del 3° millennio (Palabanda Edizioni, pp. 220, € 16) di Claudia Sarritzu.
Femminismo: libertà, giustizia, eguaglianza
Ha scritto il saggio la giornalista e firma di globalist.it in cui vi sarete probabilmente imbattuti già, se frequentate il portale. L’autrice è del 1986, cagliaritana e fieramente  sarda. Purtroppo è un saggio dalla lunga durata. Purtroppo perché inquadra una sudditanza di potere, una condizione fisica, economica, violenta, diffusa e, sotto sotto, implicitamente accettata come fosse un dato di natura: è come una muffa dalla quale è difficile dirsi totalmente immuni. L’autrice compie però uno scarto di passo che spiazzerà chi crede che il femminismo equivalga a una contrapposizione al genere maschile. Per Claudia Sarritzu sovvertire i canoni dei rapporti uomo-donna, o donna-uomo, è passaggio indispensabile e ineludibile per avere più giustizia e per rapporti tra sessi più sani, meno malati, paritari. Il femminismo, e lo annota senza dare adito a equivoci, è per la parità.
Jessica, uccisa da 85 coltellate, bruciata, dimenticata
Cosa raccoglie, la giornalista? Raccoglie dati, frasi, fatti. Senza risparmiare affondi a sinistra, non solo a politici come Salvini. A pagina 12 ricorda «con amarezza» come Debora Serrachiani abbia ritenuto più grave uno stupro commesso da un migrante rispetto a un connazionale. Perché se lo stupratore è italiano la donna che lo subisce dovrebbe sentirsi rincuorata? Perché questo è quanto implica l’affermazione della esponente di rango del Pd. Uno specchio di un sentire comune. Claudia Sarritzu a pagina 50 rievoca un nome dimenticato dai più: Jessica Valentina Faoro massacrata a Milano con 85 coltellate in questo 2018. «Alessandro Garlaschi ha colpito a morte una ragazza di 19 anni perché non voleva essere sua», dopo aver accompagnato la moglie in una città vicina, e in seguito «ha bruciato il corpo».
Non ricordate Jessica? È normale. L’omicidio (85 coltellate, il corpo bruciato) cadde nei giorni in cui veniva uccisa in cui veniva uccisa a Macerata Pamela Mastropietro, la cui morte scatenò la furia razzista di Luca Traini contro africani a giro per strada a febbraio. Cosa rivela, questo oblio di massa? D’accordo, il razzismo perché Pamela è morta a causa di neri e Jessica no. Rivela però anche un meccanismo più profondo, non meno inquietante: l’omicida milanese è un uomo, sposato, bianco di pelle, pertanto non troppo diverso dalla gran parte di noi maschi italiani. Quindi noi bianchi di nazionalità italiana confiniamo quell’orrore nel recinto dell’orrore individuale, così da non investire la categoria. Viceversa, quel furore omicida è troppo frequente per essere un gesto individuale. Dietro c’è una cultura, una società.
La “lenta strage” è strutturale
«Il femminicidio è il risultato di un conscio e inconscio modo di pensare che vede la donna come “roba dell’uomo” presente nella società patriarcale», scrive Claudia Sarritzu. Viviamo in una società patriarcale dacché le donne dirigenti, riporta la cronista, in Italia sono appena il 22%. A voi risulta che la popolazione italiana sia composta solo dal 22% di donne? Alla giornalista non manca verve polemica e piglio, perciò riprende a pagina 46 una sua lettera aperta su globalist indirizzata al quotidiano Avvenire a proposito di un articolo su «un padre di famiglia che ha massacrato moglie e figli» titolato dal giornale «L’ultima battaglia di un uomo». L’uomo è l’omicida. Il pezzo che ha sconcertato e scavato nell’animo della cronista è firmato da una collega. Claudia Sarritzu sa che nella scrittura è cruciale anche come si scrive, il tono adottato, le parole. «Perché – domanda la giornalista – tutta questa enfasi, questa pietà e comprensione per chi ha ammazzato due donne che avevano la sola colpa di averlo amato come marito e come padre? E le vittime?». La giornalista di Avvenire non ha risposto, il direttore ha replicato parlando di pietà. Rimane per aria la domanda: perché tanta pietà per l’assassino e non per la moglie? E non per la bambina scaraventata nel vuoto? Eppure parliamo di giornalisti sensibili, intelligenti, di persone civilissime, non di picchiatori. Allora l’episodio è spia di quanto constata l’autrice di Parole avanti: la «lenta strage delle donne» non è «un’emergenza», è un «problema strutturale».

Perché il linguaggio discrimina
Adesso, immaginerà qualcuno, la giornalista sarà partita all’attacco di maschi e maschilisti. Chi lo immagina è fuori pista: il saggio esclude «castrazione chimica» e altre castronerie utili solo a placare la coscienza e a far finta di essere forti. Claudia Sarritzu non reagisce come reagiamo di solito d’istinto, invocando carcere duro e dimenticando. La giornalista opta per una strada meno prevedibile: occorre lavorare sul linguaggio, sulle parole, su come parliamo di donne, di bambine; occorre scardinare il meccanismo che squalifica, dileggia, riduce a oggetto e ornamento, magari da tenere sul piedistallo finché fa comodo, occorre scardinare la violenza verbale, la violenza psicologica, occorre agire sull’educazione di ragazzi e ragazze, su uomini e donne. Il linguaggio non conta? Ricorda un fatto: un sindaco ha definito «bambinata» la violenza di gruppo di giovani a una ragazzina del suo paese. Domanda: pensate che avrebbe sminuito il crimine se il violentato fosse stato lui, o suo figlio?
Il caso Laura Boldrini
Sostiene la giornalista: un mutamento è possibile ed è alla portata, è azione politica e culturale, con il femminismo hanno da guadagnare tutti, in affetti, esistenza, sessualità, modo di vivere. Anche gli uomini ci guadagnerebbero. Volete un caso indicativo di quanto il maschilismo si traduca in ottusità e perfino ignoranza politica? Liberi e Eguali – Leu, la sinistra in teoria più attenta e sensibile al tema – alle elezioni passate ha schierato quattro uomini sostenuti da altri uomini dietro le quinte. Perché quella forza politica non ha schierato in prima fila Laura Boldrini? L’ex presidente della Camera  avrebbe catalizzato odiatori come avrebbe catalizzato passioni forti, da sola come leader avrebbe raccolto più voti (oddio, non ci voleva poi tanto) di quelli racimolati da Leu. Però è una donna. Anche la sinistra deve pertanto scavare dentro di sé. A questo conduce, il libro: a guardarsi dentro. Politicamente e in casa.
Parole avanti, «saggio sulla discriminazione e la violenza di genere osservate da chi fa informazione in Italia» ha una lacuna: si avverte come Claudia Sarritzu si sia nutrita di esperienze e di letture, perciò una bibliografia essenziale avrebbe giovato. Con una copertina disegnata da Jenny Atzeni, il saggio comprende anche interviste illuminanti e ha una scrittura limpida, un ritmo serrato che scaturisce dalla passione. Il libro andrebbe messo sotto gli occhi di tutti noi maschi: un esercizio profondo e meno arduo di quanto sembri. Alla fin fine il  pamphlet infonde perfino coraggio.

Claudia Sarritzu, Parole avanti. Femminismo del 3° millennio, Palabanda Edizioni, pp. 220, € 16

Nelle librerie un saggio sulle parole e la necessità di un nuovo femminismo

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