Rock Reynolds
Þingvellir, la Piana del Parlamento, uno dei luoghi più magici dell’Islanda. È in questo ambiente più volte utilizzato come set cinematografico che si apre il romanzo La campana d’Islanda (Iperborea, traduzione di Alessandro Storti, pagg 591, euro 19,50) di Halldór Laxness (1902-1998), il narratore islandese per eccellenza, l’unico premio Nobel che quest’isola bellissima e selvaggia possa vantare.
Quasi lasciata alla deriva nell’Atlantico settentrionale dopo la creazione, l’Islanda è stata teatro di diverse invasioni e conquiste e tuttora, malgrado il suo ostinato isolazionismo, fa gola alle grandi potenze per la sua posizione strategica. Non a caso, per anni, ha ospitato una nutrita e importante base militare americana, ormai un ricordo sbiadito. Dopo aver superato, pur con grandi difficoltà, una gravissima crisi dal 2008 al 2011, oggi il paese è tornato a vivere una stagione di successi, anche grazie alla crescita esponenziale del turismo internazionale, certamente non sordo al canto delle sirene musicali e letterarie di alcuni eroi casuali, balzati agli onori delle cronache mondiali. Due nomi su tutti? Laxness, appunto, e la cantautrice Björk.
Il paese è dominato da una natura spesso infida, comunque da un ambiente ostile agli insediamenti umani, e solo la forza e l’ostinazione della gente islandese hanno fatto sì che l’isola non si spopolasse totalmente. Natura, forza d’animo e slanci di crescita culturale sono gli elementi di cui l’Islanda va giustamente fiera.
La violenza degli elementi e la caparbietà umana al cuore del romanzo
E la violenza degli elementi e la caparbietà umana necessaria per affrontarli sono il cuore stesso de La campana d’Islanda, uno dei romanzi-monumento di Laxness, un flusso quasi inesauribile di parole che, talvolta, stordiscono il lettore, ammaliandolo e incuriosendolo.
Come detto, la vicenda si apre nella Piana del Parlamento. Non una scelta casuale, dato che non v’è luogo più simbolico in tutta l’isola, forse perché vi si radunavano una volta all’anno tutti i capi tribù per prendere decisioni in uno spirito di democrazia primordiale. O, forse, perché fu lì che, nel 1944, venne dichiarata l’indipendenza del paese. E sono sostanzialmente due le storie che si intrecciano ne La campana d’Islanda, quella di Jón Hreggviðsson, un bifolco che ha la inveterata capacità di cacciarsi nei guai e la tendenza ad alzare il gomito, ma che è pure capace di slanci artistici che in certe situazioni gli consentono di salvarsi la vita, e quella della splendida Snaefríður, che non ne vuole sapere del destino che le è stato dato in sorte e che farebbe carte false pur di sposare Arnas Arnæus, il cui scopo nella vita è raccogliere tutti gli antichi manoscritti dell’isola, per preservarne la memoria storica e lirica.
Pagine divertentissime e pagine di inaudita violenza
Lo stile della narrazione, sospesa tra la fantasia smargiassa di una saga nordica e il cupo realismo di un romanzo storico, è quello classico del romanzo picaresco, con siparietti divertentissimi e pagine di inaudita violenza. Laxness gioca abilmente con le parole, sfoggiando un’erudizione che altri scrittori avrebbero faticato a non far sembrare pedante. La fierezza dell’essere islandesi, popolo da molti (soprattutto dai dominatori danesi) considerato un ammasso di zoticoni incolti, fannulloni e propensi alle libagioni, viene ribadita costantemente, rafforzata dai toni faceti con cui ne vengono tracciati i contorni, rendendo pan per focaccia ai costanti dileggi di cui le altre popolazioni nordiche lo facevano oggetto. Un esempio? “Lui vergò il proprio nome in fondo al foglio, con pochi movimenti scattanti che fecero schizzare qualche gocciolina d’inchiostro… firmò con la sua scrittura elegante che poco si confaceva a quella manona… essendo analfabeta come quasi tutti i danesi.”
Non mancano riferimenti a momenti poco eclatanti della storia dell’isola, per esempio quando le condizioni di vita della famiglia media erano talmente misere che l’infanticidio o la vendita dei bambini in tenera età a mercanti stranieri erano pratiche assai diffuse. Anche la critica per l’atteggiamento fariseo dei vertici religiosi e per quello più prosaico degli amministratori della giustizia è affrontato con la medesima vis comica. “Gli atti impuri in sé e per sé sono principalmente una questione fra l’uomo e la sua coscienza. Nondimeno un atto impuro è spesso preludio e cagione di altri misfatti.”
Thorarinn Leifsson in prime nozze ha sposato una nipote di Laxness che gli ha pure dato due figli e, dunque, conosce bene la storia dell’autore islandese più noto, senza peraltro considerarlo un vero idolo. Il suo unico romanzo disponibile in italiano è La folle biblioteca di nonna Huld (Salani), una favola che, come tutte le favole, si presta a essere letta da un pubblico giovanissimo tanto quanto adulto.
Quand’è che ha sentito parlare per la prima volta di Halldór Laxness?
I miei genitori conoscevano Laxness e, dunque, lo incontrai una volta a Copenhagen quando avevo cinque o sei anni, ma non ricordo nulla dell’episodio. In seguito, nella prima adolescenza, lessi La base atomica e altre sue opera di stampo maggiormente politico. In Islanda, l’opera di Laxness è materia di studio, soprattutto all’università.
Le saghe sono un patrimonio della cultura islandese. Ma ai vostri bambini interessano?
I bambini islandesi non sono interessati né alle saghe né a Laxness. Noi islandesi tendiamo a scoprire le saghe da adulti.
L’Islanda è ricca di librerie e negozi di musica. Siete consapevoli di aver intrapreso una strada virtuosa?
Sì, da noi succedono sempre tante cose interessanti. Tanta cultura, una responsabilizzazione forte dell’individuo. La nostra è una società estremamente piccola ed estremamente mobile.
“La campana d’Islanda” si legge come una fiaba e pure come un romanzo storico. È vera la sensazione che il vostro paese sia innamorato del passato più che del presente?
L’Islanda è una democrazia molto giovane. Ecco perché questo tipo di letteratura è stato così prevalente nell’ultima parte del XX secolo. Oggi, invece, la gente tende a leggere romanzi ambientati nella contemporaneità, spesso romanzi noir.
Essendo stato un parente acquisito di Laxness, è a conoscenza di qualche aspetto particolarmente intrigante della sua personalità?
Laxness morì prima che io entrassi a stretto contatto con la sua famiglia. Però, ho sentito tante storie, soprattutto riguardo a gente famosa che si presentava a casa sua, in America. Barbara Bush, Olof Palme, Kurt Vonnegut e Joan Baez, per esempio. La storia che mi piace di più riguarda un altro grande autore che andrò a trovare Laxness. Dopo aver bevuto caffè per tutto il giorno, si salutarono davanti a casa sua. L’ospite indicò un albero e disse: “Quella pianta sta crescendo a ritmo velocissimo”. “Sì”, rispose Laxness. “E, la prossima volta che mi passi a trovare, sarà probabilmente alta come questa casa.”
Dato che lei stesso è un autore, cosa sta scrivendo attualmente?
Sono impegnato nella stesura di un noir per adulti che si svolge nell’Islanda dei turisti. Non ho idea di cos’abbia in mente il mio editore italiano, ma, se non sbaglio, La folle biblioteca di nonna Huld non è andato male.
Fare la guida turistica per stranieri che visitano l’Islanda le dà spunti creativi?
Lavoro tanto come guida e nel mio primo anno ho organizzato 150 tour. Dunque, ora sto tentando di trovare più tempo per scrivere.