Alberto Fraccacreta
Leopardi può forse far paura? Piccoletto, sguardo bonario e trasognato. No, lui no. E i suoi versi? (Per inciso, i sedici endecasillabi di Alla luna.) Il gesto anonimo accaduto a Fiumicino nei giorni scorsi – simile ai foglietti di carta artigianale attaccati sui muri delle strade di Vucciria, da un’idea dell’artista e fotografo Paolo Caravello –, l’aver coperto cioè con alcuni testi lirici (dal recanatese, Ungaretti, Penna e Shakespeare) le svastiche e gli insulti razziali, non è ammirevole soltanto per ciò che rappresenta in sé, ma anche e soprattutto per le reazioni che ha suscitato: reazioni di censura che, appunto, fanno rima con paura. Reazioni che attestano, al contrario, la forza iconica della poesia, l’irriducibile margine di libertà che essa crea con l’immediata sua comparsa.
Svastiche sui versi perché il mistero non è tollerato
Se i versi fossero qualcosa di passeggero e innocuo, non ci sarebbe stata pronta (e sgradevolissima) risposta. E, invece, giù altre svastiche a coprire, a nascondere, a imbrattare. Leopardi corteggia la luna e il suo desiderio di «ricordanza». Cavalcanti incute terrore perché parla di Giovanna Primavera e dell’amore come di un mistero. E il mistero non è tollerato. Vittorio Sereni, nel suo libro più potente, Stella variabile, prova estasi per Rimbaud scritto su un muro: «Venga per un momento la fitta del suo nome/ la goccia stillante dal suo nome/ stilato in lettere chiare su quel muro rovente». E l’estasi non è tollerata. Nulla è tollerato di chi si fa portavoce di un pensiero unico, escludente l’altro, men che meno può essere accettata la poesia che è Tolleranza.
Da una bottega di Palermo ai muri
Recentemente Claudio Magris ha dichiarato: «La poesia è anzitutto la capacità di trasferirsi nell’altro, di sentire l’altro». La poesia è un richiamo alla diversità, e in questa sua valentia si nota il profilo essenziale dell’umiltà. Tutto ciò che impedisce alla diversità di manifestarsi, crescere, prendere campo è, non a caso, antipoetico, antilirico, terribilmente prosaico e arrogante.
Il mistero e l’estasi sono due azioni di uscita da sé, che richiedono sforzo e coraggio: come la bottega Alab “Bucciria”, in via Argenteria a Palermo, la quale attraverso fogli mobili, in cui compaiono versi di Prévert, Manzoni e Gibran, vuole combattere con la bellezza lo spettro della microcriminalità, dei rifiuti e dei palazzi diroccati. Il commento di Caravello è stato: «Solo l’unione tra cittadini e il senso civile portano cambiamento, questa è la nostra piccola rivoluzione, ripartendo sempre dalla cultura». Ma lo aveva detto anche Camus in L’Homme révolté: «La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei». Che sia arrivato questo tempo, il tempo della bellezza? Forse sì, perché «tutta la rischiari».
Le svastiche ricoprono le poesie che avevano coperto le scritte naziste