«Almarina di Valeria Parrella è una questione complessa: è un romanzo politico e d’amore». Così Elena Marinelli, sul sito del Libraio.it, definisce un romanzo che sta ottenendo elogi critici e apprezzamenti: Almarina appunto della scrittrice napoletana (Einaudi Supercoralli, pp. 136, € 17).
Il titolo è il nome di una ragazza romena nel carcere minorile di Nisida, “un carcere sull’acqua” a Napoli, scrive la casa editrice nel suo sito web. In quella prigione insegna a insegnare matematica Elisabetta Majorano. Donna solitaria, cinquantenne, vedova, quando si imbatte nella nuova allieva cambia prospettive, cambia lei stessa.
Con Napoli tanto sullo sfondo e in primo piano, il romanzo si snoda lungo la costruzione della relazione tra una donna adulta e una ragazza che ha dovuto apprendere presto i codici della violenza. E tramite questo incontro intravede una possibilità di riscatto.
A dire di Antonella Lattanzi, su “Tuttolibri” della Stampa del 20 aprile, «in Almarina, vediamo da vicino il carcere minorile di Nisida, una ragazza romena violentata da suo padre che poi è finita qui, una donna cinquantenne che ha visto il corpo morto di suo marito, freddo, in obitorio e che qui insegna matematica, un comandante che rimane umano anche nelle mura fredde di un’istituzione. E vediamo le contraddizioni dello stare fuori – la solitudine, la rabbia, il corpo che invecchia, i ricordi e il dolore, ma anche lo splendore di una città, Napoli, che ribolle di vitalità – e dello stare dentro – rinchiusi, i ragazzi non delinquono, non si fanno uccidere, è vero, ma cosa pèrdono, cosa saranno fuori, e in che modo la reclusione li violenta? E soprattutto, di chi è la colpa se questi ragazzi sono qui?». Perché tante domande? Perché Valeria Parrella, evidenzia Antonella Lattanzi è una scrittrice che sa porre domande.
La professoressa è senza figli, la ragazza senza genitori. Tra il loro incontro si frappongono leggi, burocrazia, assistenti sociali, parenti, colleghi. E anche per la giornalista della Stampa è «un romanzo politico, perché ci chiede sfacciatamente di chi è la colpa se un minore è in carcere, e se il carcere può salvare o meno», così come è «un romanzo d’amore» e «interroga sia quelli che giudicano sia quelli che sono giudicati». A merito di Valeria Parrella, Antonella Lattanzi rileva come non voglia «insegnare niente a nessuno, perché è una vera scrittrice, e gli scrittori non insegnano, raccontano».
“Mirea”, il fim sulle detenute e i detenuti a Nisida
È una coincidenza probabilmente, ma anche il cinema si è occupato dei ragazzi detenuti nel carcere di Nisida: è il film Mirea presentato al Capri – Hollywood nel dicembre 2016 con la regia di Salvatore Sannino e Mario Vezza, coprodotto da Antonio Acampora e Armando Ciotola del centro di produzione CinemaFiction Napoli, dal Teatro di Sotto e dall’associazione MetaMorfosi.
Nel film la protagonista è la sedicenne Mirea, finita all’Istituto Penale Minorile di Nisida, che si trova nella zona di Bagnoli, mentre la madre va al carcere femminile di Pozzuoli perché vengono arrestate in un blitz contro lo spaccio di droga. Anche Mirea è sola e il film racconta in modo corale attraverso le ragazze e i ragazzi le loro condizioni, speranze, pensieri.