Per la scomparsa dello scrittore cileno riprendiamo in home page di culture una notizia su una fiaba di Luis Sepulveda tradotta in italiano quasi un anno e mezzo fa.
Quante balene finiscono spiaggiate per ragioni che non conosciamo? Ragioni che quasi certamente stanno negli scempi commessi dall’uomo alla natura e contro quei cetacei. Con “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa” (Guanda, pp. 112, € 10,00, traduzione di Ilide Carmignani, illustrazioni di Simona Mulazzani) Luis Sepúlveda rovescia il punto di vista e la storia di Moby Dick dando parola a una balena come quella cacciata dal capitano Achab nel romanzo di Melville.
Nella fiaba lo scrittore cileno si mette dunque dalla parte del mammifero acquatico che parla a noi umani tramite una conchiglia portata da un bambino scelto da Sepúlveda con cognizione di causa, ovvero un rappresentante di un popolo di casa in Cile prima dell’arrivo dei bianchi, i lafkenche, membri del popolo dei Mapuche.
Quel bambino porterà la conchiglia al narratore il quale ascolterà la storia della balena. Che scaturisce da un fatto accaduto realmente: nel 2014 a Puerto Montt, nel Cile, si arenò la carcassa di una balena bianca morta. E per i lafkenche le balene sono esseri viventi da rispettare anche perché sono loro ad affiancare le anime dei morti nell’ultimo viaggio nell’al di là.
Sepúlveda non è nuovo alle fiabe. Basti ricordare il romanzo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare“.