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Incontrare gli altri per battere la passione per il fascismo

A Milano è stato ricordato il lavoro di Elvio Fachinelli, il grande psicoanalista. Una riflessione la sua quanto mai attuale per analizzare i rigurgiti "neri". Ma la politica può essere una cura (e viceversa)

Incontrare gli altri per battere la passione per il fascismo
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7 Novembre 2018 - 18.10


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di Delia Vaccarello

Come si spegne la passione per il fascismo? La predilezione per la immobilità e la securità, che aborre il movimento e l’incontro con l’altro? Che miete oggi il consenso riscosso da pratiche e ideologie che speravamo non tornassero mai più? La risposta complessa risiede nel suo opposto, nella domanda. Riusciamo a reggere la domanda che pone Eros nella vita di ognuno? Riusciamo ad abbandonarci alla forza della sua esilità? Nei locali dell’ex mensa del nosocomio psichiatrico Paolo Pini di Milano si è tenuto il 27 ottobre un fertile convegno sul grande psicanalista e giornalista con il cuore del politico, Elvio Fachinelli, meeting riuscito anche grazie all’impegno e alla passione organizzativa di Maria Laura Bergamaschi.

Il luogo del convegno parla da solo, segna il passaggio dalla psichiatria come controllo sociale, alla riflessione sui rapporti tra politica e apertura in senso pulsionale. Lì dove il corpo recluso si cibava in condizioni di costrizione e di apartheid oggi può nutrirsi con il cibo dell’espressione, dell’accoglimento. Dell’estasi. Lì dove si sfamavano i cosiddetti malati “di mente”, rigidamente separati dai medici e infermieri, al riparo da ogni mescolamento, oggi il teatro “LaCucina” dissoda il terreno dell’aperto (http://www.olinda.org/teatrolacucina/). Nei laboratori raccontati da Marco Martinelli con gli adolescenti troviamo la maieutica della creatività, i ragazzi non appaiono più svogliati distratti dipendenti dallo smartphone ma attratti irresistibilmente dalle esperienze del corpo. Sono laboratori tesi a innervare i quartieri portando il gesto autentico: “se non respira insieme alla città cosa è il teatro… poca cosa.. ci siamo avvicinati agli adolescenti, asini che risvegliavano la nostra asinità…non bisogna togliere ai bambini il loro lato selvatico, ma bisogna essere custodi della loro selvaggeria”, dice Martinelli che evoca l’animale che dunque siamo mentre dalle ampie vetrate arriva lo scroscio della pioggia sulla distesa di verde intorno. Chi ascolta “vede” Elvio Fachinelli, le foto che lo ritraggono con i bambini quando il 12 gennaio 1970 venne aperto a Milano l’asilo autogestito di corso di Porta Ticinese, nato dagli studi sulla “pedagogia non autoritaria”, ai quali Fachinelli partecipò. Con gli adolescenti e non solo Martinelli fa laboratori di apertura. Perché ogni evento ha un’eccedenza che il riduzionismo può solo soffocare. Eppure c’è chi, pervicacemente, fa la guerra a tutto questo. E dunque: cosa ostacola la tensione verso l’aperto? Verso ciò che lievita superando la somma delle parti?

 

Apertura/chiusura.  Fachinelli è un grande pensatore dell’evento, di ciò che viene a noi come un salto, come il fuoco che non è solo legna che arde, ma eccedenza, esorbitanza: lo ha introdotto così Massimo Recalcati mettendo l’accento sulla coppia chiusura/apertura presente negli scritti di Fachinelli, ricostruendo un dizionario fachinelliano che sulla scorta di questa opposizione ci fa rileggere anche Freud, Lacan, Deleuze e Guattari. “Si potrebbe fare un dizionario fachinelliano in cui troviamo i termini che corrispondono al polo chiusura (che è Thanatos) e quelli che corrispondono al polo apertura. Esploriamo il polo Thanatos: il primo termine che si colloca nel polo della chiusura è l’Edipo, l’Edipo è il luogo del chiuso, del meccanismo di difesa, troviamo poi l’immobilità, la vigilanza, l’ossessivizzazione, la religione, il riduzionismo, il bisogno, la conferma, la continuità ; questi termini sono la grande fenomenologia fachinelliana del chiuso. Nel polo Eros abbiamo la terminologia dell’aperto: al posto dell’Edipo abbiamo il femminile, che è una grande figura dell’aperto, la domanda al posto della risposta, l’accoglimento, l’accomunamento, la contaminazione, il movimento, l’estasi, il mare, la gioia, il desiderio, la sorpresa, l’esperienza, la discontinuità”. Chiuso e aperto sono opposti che ci permettono di leggere anche la storia della sinistra dal ’67 in poi. In quegli anni Fachinelli venne invitato alla università di Trento dai militanti per riflettere sui temi della segregazione, della intolleranza, della esclusione, temi ahinoi attualissimi. Racconta Recalcati che Fachinelli propose una sessione esperenziale, invitando tutti a sedersi in cerchio, a lavorare sulle tendenze alla chiusura che albergano in ciascuno. Venne fuori subito la questione se farne un gruppo chiuso o aperto, e moltissimi votarono per il gruppo chiuso. L’angoscia di disgregazione apparve immediatamente. E così si fece avanti la paura: se il gruppo si apre corre il rischio di disintegrarsi, di sparire, e pensare che era un gruppo composto da militanti…. Una scelta che prefigura la realtà della sinistra anche negli anni a venire per arrivare all’oggi, sminuzzata in gruppetti ostili tra loro, che vedono la differenza come difformità.

 

Il privato e il pubblico. E qui Recalcati si è fatto esplicitamente politico: “Vi invito ad ascoltare con due orecchie, una sintonizzata sul presente del nostro Paese. Se apriamo corriamo il rischio della disgregazione. Ancora. Seconda angoscia, se apriamo il gruppo rischiamo di perderlo, si deve chiudere per essere nostro. C’è dunque la idea che la istituzione sia una proprietà, e che si possa perderne il possesso, i giovani rivoluzionari hanno il fantasma del furto, come le coppie che hanno il primo figlio. Terza angoscia l’ovattamento: bisogna consentire al gruppo di lavorare e l’ingresso di estranei sarebbe un fattore di disturbo. Lo straniero disturberebbe la condizione ovattata in cui si muove il gruppo. Quarta angoscia, se noi apriamo il gruppo non possiamo generare un codice condiviso perché appaiono altre lingue. Non tolleriamo che la nostra lingua sia contaminata dalla lingua dell’altro”. La tastiera delle angosce indica inequivocabilmente cosa ostacola il polo Eros. Con lo sguardo all’oggi come non vedere nella pulsione per il chiuso l’odio per il migrante, il sequestro di navi fuori dai porti, voluto dalle istituzioni e applaudito, il timore ossessivo del furto, che l’estraneo ci rubi tutto, timore fantasmatico in un paese dove è diffusissima l’appropriazione di denaro pubblico da chi occupa posizioni di dirigenza e certo non scappa dalle guerre, anzi le vede come occasione per lucrarci. Chiaro: l’analisi e la citazione anche di pratiche esperenziali fatta nel corso del convegno, il punto su ciò che si agita nel profondo, mettono in luce ciò che oggi in Italia detta l’agenda politica e i fenomeni di pancia.

Convivere con più lingue. Allora, come abbandonarsi all’alterità, come apprendere e convivere con l’esistenza di più lingue? Come “farci parlare” da più linguaggi? “non c’è una lingua sola, né un solo popolo, dovete imparare a tradurvi”. Ed è qui che il gruppo di rivoluzionari si mosse nel ’68 come un gruppo militare, parlando teoricamente di accoglienza, ma contraddicendola nella prassi. Fachinelli non tacque e la sua posizione divenne molto scomoda. Donandoci perle di riflessione attuali, Fachinelli ne evince che il gruppo settario ostacola la comunità, perché solo se la comunità è aperta respira e vive, altrimenti muore. Muore se interpreta il difforme come deforme, anche eticamente ed esteticamente. Una tendenza che si è radicata nella sinistra italiana. Quanta fatica si è fatta ad esempio per approdare se pur parzialmente al riconoscimento di alcuni diritti umani con le unioni civili. Fatica di un paese che non ha smesso di vedere il difforme “gay, lesbica, gender variant” come deforme. Ma esiste una alternativa? Una possibilità di apertura? Una possibilità di accomunamento divergente contro la settarizzazione? L’accomunamento implica l’accoglienza. In tutta la prima parte de “La mente estatica”, testamento inestimabile di Fachinelli, c’è il lato costruens di questa analisi fachinelliana: possiamo stare in comunità avendo come fondamento proprio il fatto che nessuna comunione è possibile? Persino la formulazione fa venire le vertigini, ma è vitale. L’idea del non condivisibile fonda la possibilità della condivisione. Fachinelli ci invita a ripensare l’inconscio, che non è luogo di minaccia, piuttosto è innanzitutto il luogo della forza, dell’eccesso, di una gioia smisurata. Ma come si traduce in una prassi? Si è chiesto Recalcati.

L’Eros e la politica. Qui torna il grande tema della ripresa che attiene al polo eros all’opposto della ripetizione, cara alla pulsione di morte che compare nel polo thanatos, entrano in gioco i temi del vuoto, del pensare e del vivere il vuoto come ciò che rende possibile l’esperienza gioiosa dell’aperto. Il vuoto come condizione per rispondere al chiuso.

Scorrendo gli altri termini del polo Eros, troviamo il femminile, l’estasi e anche l’erranza. Ne ha parlato Cristiana Cimino. L’indicazione di Fachinelli è veggente e più radicale di quanto non sembri, una indicazione che va seguita e perseguita a livello psichico, politico, ed etico. Farlo è della massima urgenza, ha sottolineato Cristiana Cimino, che ha scelto Fachinelli come suo maestro. La posizione femminile deve farsi carne se vogliamo contrastare l’orrore, l’uccisione di una donna ogni tre giorni, il dilagare del fascismo, l’allentamento della sorveglianza del fascista che è in noi, se non vogliamo sprofondare nella barbarie. È esperienza singolare ma va portata alla collettività, vuole una prassi. Fachinelli parla di Estasi in tutta la sua opera, in maniera esplicita o sotterranea. E Cimino segnala il disastro conseguente al disconoscimento antropologico di tale dimensione che è alla base di ogni creatività, di ogni possibile “nuovo” contro il fascino di ieri che oggi galvanizza le ondate di odio, di chi inneggia alla dittatura e, ad esempio, consacra la vittoria di Bolsonaro in Brasile . L’estasi non ha nulla di extrasensoriale, è rinuncia alla illusione di padronanza, uscita fuori da sè, è vacillamento, è annichilimento, accoglienza della angoscia di disgregazione e suo superamento che permette l’apertura oltre le corazze identitare, laddove si approda a una gioia persino eccessiva. L’estasi permette la porosità, l’apertura all’altro, la scoperta della sua radicale differenza, l’estasi tutt’altra cosa della tentazione di essere saldi e compatti, chiusi, fermi. Si pone all’opposto della virilità che è controllo, chiusura, recinzione, l’estasi è posizione femminile, apertura, derelizione. L’estasi è posizione femminile perché le donne, ciascuna presa singolarmente, sono oltre la struttura edipica, sfuggono, portano una eccedenza non verbalizzabile eppure evocabile come fanno i poeti.

Le donne come bussola. La posizione femminile diventa bussola, posizione per tutti, non biologicamente determinata, raggiungibile solo collocandosi fuori, cambiando prospettiva, rovesciando la cornice psicanalitica di un inconscio nemico dentro di noi intorno al quale ossigenare una foresta appuntita di difese. Accogliere invece, non guerreggiare, guardare le onde senza timore o attesa, con meraviglia. Del fraseggio contenuto in “Sulla spiaggia”, nell’opera “la mente estatica”, scritto quando Fachinelli aveva chiaro che era arrivato l’ultimo momento della sua vita, Cimino sottolinea la lucidità della scrittura affilata come lama eppure venata di una nota nostalgica. “Fachinelli con grazia arriva al cuore e anche alla mente”. Siamo nel territorio proibito, quello del “mare” e non della chiusura edipica nel fantasma materno. Siamo nei territori che Freud, osserva Cimino, sorvegliò massimamente e che Fachinelli cerca, insegue, percorre, anche con ausili chimici, tenendo ferma la necessità di maneggiare la regressione. Solo grazie all’estasi , che è anche “condizione percettiva estrema, disciplina da perseguire, pratica di attiva passività” ci spogliamo di identità-corazze, di possessi, di contabilità risarcitorie, e ci apriamo. Cimino accenna all’erranza, al non radicamento in illusori fondamenti. Ne parla relativamente al setting: “il lavoro della analisi è interminabile perché occorre continuare a spendersi, la pratica psicanalitica è legata al dono, alla eccedenza femminile, è irriducibile al contratto, alla transazione economica in genere alla quantificazione tranquillizzante e un po’ perversa che mette al riparo dallo spendersi, dall’esporsi all’evento, dall’incontro tra analista e analizzante. Senza dono non c’è sorpresa, qualcosa che entra in seduta al momento giusto alterando un equilibrio che sempre deve mantenersi precario, interrompendo il flusso uniforme del tempo”. Tutto questo è politica, deve farsi carne ha detto Cimino, perchè non esistono dentro e fuori. Ed è chiaro che la pulsione di Thanatos (chiuso) che ostacola l’apertura può temporaneamente depotenziarsi dinanzi a Eros, alla chiamata a non concentrare nell’altro il perturbante che è in noi, facendogli una “virile” guerra. Che le navi attraversino i mari, che i popoli migrino, che le nostre fragilità si incontrino, che le contaminazioni avvengano, che la gioia ci raggiunga “poveri”, caduchi, aperti al dono, felici. “La posizione dell’analista è quella di una erranza femminile – ha concluso Cimino – orientata per definizione a instabilità e imprevisto, il transfert non è somministrazione di sapere costituito ma momento di grazia che sospende il già noto e apre la imprevedibilità del nuovo”.

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