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Ma perché i terribili topi piacciono tanto a scrittori e fumettisti?

Parigi, Londra, Roma: le metropoli sono infestate dai ratti. E tutti ne hanno il terrore. Ma poi se finiscono in un fumetto, in un libro o in un film i temibili roditori diventano perfino simpatici.....

Ma perché i terribili topi piacciono tanto a scrittori e fumettisti?
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12 Novembre 2017 - 18.30


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di Enzo Verrengia

L’invasione degli ultratopi? Probabilmente sì. Ne fece le spese qualche anno fa Jo Squillo, a Parigi, durante il pranzo in un ristorante del Marais, il quartiere più suggestivo della capitale francese. Sollevando un’oliera, si ritrovò un topo vivo che sguazzava nel liquido denso per uscirne. Urla inorridite di prassi ed un impertubabile cameriere che si limitò a sostituire il recipiente e poi a recapitare il conto. Il proprietario dell’esercizio dichiarò fatalisticamente che la città era infestata, quindi lui non ne aveva colpa.
Parigi contiene sei milioni di topi. Il triplo degli abitanti. Gli xenofobi adirati per la presenza dilagante delle masse islamiche ed extracomunitarie, delle gang nelle banlieues, dovrebbero orientare su tutt’altro versante le loro avversioni. Si prenda un quartiere popolare come la Cité Curial. Il degrado è la festa dei ratti, che complicano gli scontri sociali già aspri del XIX Arrondissement. Sarà tregua fra magrebini ed ebrei di fronte ai comuni nemici roditori? In allarme anche il VII Arrondissement, paradiso di benestanti dal reddito medio di oltre cinquemila Euro al mese. Qui le case costano novemila Euro al metro quadro e l’acqua minerale ventinove a bottiglia. Il soprannumero di topi farà abbassare i prezzi?
Il nuovo flagello di Parigi, che imperversa sulle rive della Senna, si chiama surmulot. Un bestione poderoso con capacità di resistenza ai veleni più esiziali. La sua irrefrenabile vittoria risale ormai al 1979. Oggi ha quasi conquistato le gioiellerie di place Vendome.
Nella centralissima Gare Saint Lazare transitano quotidianamente quattrocentocinquantamila viaggiatori. I ratti zampettano a dozzine fra le rotaie, insidiano i distributori automatici di snack e bibite, puntando, come sempre, sui cestini dei rifiuti. Gli utenti della stazione segnalano la risolutezza con la quale i roditori perseguono la ricerca del cibo. I disinfestatori arrivano una volta al mese. Con risultati scarsi e di brevissima durata. I ratti ritornano molto presto.
Non va meglio a Londra. Nella capitale britannica imperversa il Rattus norvegicus, cui già dalla metà del decennio si imputava l’aumento delle infezioni. Luis Nieder, dell’Università di Parma, precisa lo spettro del pericolo sanitario: «Sono 150 le malattie che ratti e topi trasmettono anche senza il contatto diretto, compresi tifo e paratifo, virosi e leptospirosi e hantavirus». Di taglio apocalittico il quadro offerto da Oliver Madge, della British Pest Control Association: «La loro natura si è rafforzata tanto da essere resistenti persino ai veleni di ultima generazione, assumendo dosi letali senza essere minimamente danneggiati. Infine, non hanno più paura dell’uomo». Ogni mese una coppia di ratti può generare da dieci a dodici nuovi esemplari, in grado di svilupparsi fino a oltre mezzo metro di lunghezza.
Già nel 2001, il problema bussava alle porte di Buckingham Palace. L’infestazione di topi nelle cucine della regina consigliava a Sua Maestà un trasloco provvisorio dalla reggia londinese al castello di Windsor, in attesa che la servitù provvedesse ad eliminare lo sconcio. Un cuoco di corte aveva trovato dei roditori che scorazzavano in mezzo alle terraglie. Dopodiché, dichiarava al quotidiano The Sun: «Mi sono venuti i brividi a pensare che faccia avrebbe fatto la regina sapendo dei topi in cucina. È una cosa disgustosa».
Ora è quasi normale vederli appollaiati sui binari delle linee metropolitane di Londra, rincorrere avanzi nella calca di Piccadilly Circus, Covent Garden e Leicester Square, quando non infilarsi sotto i tavoli dei pub. Mentre perfino le abitazioni eleganti di West Hampstead, South Kensington e Chelsea devono ricorrere alla disinfestazione.
Non va meglio a Roma, la città tradizionalmente d’elezione per i gatti. Questi ultimi sono in rapida diminuzione e, per automatismo, lasciano il campo ai topi. Complice anche l’avanzata della sporcizia e del nuovo tribalismo urbano. Campi nomadi abusivi, angoli del centro ridotti a nicchie di sopravvivenza per disperati, rifiuti esponenziali dei turisti. Nel 2006 vennero recuperati centoventi topi morti che stazionavano all’interno di bagni destinati al Giubileo e rimasti inutilizzati. In passione anche i residenti di piazza Cavour. L’analisi di Francesco, un barbone stanziale dell’area, che si candidava a custodirla dopo l’intervento di rilancio: «La concentrazione più alta di topi a Roma è paradossalmente in luoghi di estremo fascino, Castel Sant’Angelo, il Gianicolo, Colle Oppio. Qui i ratti trovano alimento negli scarti dei bivacchi».
Ma, tornando in Francia, la situazione tocca il grottesco. Il trionfo dei topi si deve anche alle direttive ministeriali che bandiscono alcuni prodotti ritenuti troppo nocivi. Il che dà fiato all’APRAC, l’Associazione per la promozione del ratto comune da compagnia. Non è una bufala giornalistica. Nel mondo animalista sembra normale prendere a cuore anche l’esistenza di quella varietà che ripugna al senso comune. Esprime infatti soddisfazione il presidente del suddetto sodalizio, circa alcuni disinfestanti: «Molti ormai sono vietati, un bel guadagno per l’ambiente ma in compenso i topi ne hanno tratto vantaggi».
Quanto ai gatti, ipernutriti e soprappeso, non sentono più alcun bisogno di dare la caccia agli avversari di sempre per farsene alimento.
Prima di Mickey Mouse, imperversò il topo Ignatz, che lancia a Krazy Kat mattoni scambiati per segni di affetto. Un’epopea sorprendente, dovuta al disegnatore George Herriman. La vena topesca influenzò Don Bluth, artista in fuga dall’impero Disney che nel 1982 realizzò il film di animazione Brisby e il segreto di Nimh, tratto dal romanzo di Robert C. O’Brien. Occasione di avventura per una famiglia di topolini umanizzati. Quattro anni dopo, Bluth ci riprovò con Fievel sbarca in America, fortemente voluto da Steven Spielberg. Qui l’emigrazione dolorosa di topi dalla Mitteleuropa era un parallelismo deciso con quella degli ebrei. Un capovolgimento dell’indegna fantasmagoria antisemita del film L’ebreo errante, diretto nel 1940 da Fritz Hippler su commissione di Joseph Göbbels, documentario osceno che si apriva con l’accostamento fra israeliti e ratti infestatori. Il binomio torna, dal versante opposto, nella saga a fumetti Maus, di Art Spiegelman. Il disegnatore ricostruisce la saga della sua famiglia polacca sterminata nei lager raffigurando gli ebrei come topi, i tedeschi come gatti e gli slavi come maiali. Ma il carisma parigino dei ratti risente del successo di Ratatouille, il topino raffinato del film Pixar che non si accontenta della monnezza, in quanto dotato di un gusto da gourmet. E che dire di Geronimo Stilton, campione d’incassi al botteghino dei libri per l’infanzia? C’è poi Firmino, il roditore del romanzo di Sam Savage che divora libri… leggendoli. Con lui, il topo sembra avviato alla definitiva supremazia. Perché, ormai, gli umani non hanno più alcun amore per la lettura.

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