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"Vi racconto il luogo dove nascono gli incubi d'America"

Abbiamo incontrato Tom Drury, lo scrittore americano che con 'La fine dei vandalismi ha narrato il Midwest piatto e intrigante. E l'elezione di uno sceriffo come metafora di un'altra elezione...

"Vi racconto il luogo dove nascono gli incubi d'America"
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25 Settembre 2017 - 17.45


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di Rock Reynolds 

C’è chi dice che certe storie possono solo nascere dalla terra che si calpesta, dall’aria che si respira, dall’incedere implacabile delle stagioni e dalle bizze del clima di un luogo. Si può dire tutto e il contrario di tutto, ma basta leggere qualche riga de La fine dei vandalismi (NN Editore, traduzione di Gianni Pannofino, pagg 392, euro 19) di Tom Drury per capire che le sue atmosfere sono figlie legittime del Midwest, una delle zone più anonime, piatte, monotone e, al tempo stesso, intriganti degli Stati Uniti. Definito per comodità il “granaio d’America”, il Midwest è un enorme altipiano un tempo dominato da verdi praterie e progressivamente trasformato in una gigantesca monocoltura, oggi divisa fra campi di mais e di soia. Distese di filari a perdita d’occhio, con la rara intromissione di fattorie, silos, fienili rossi, trattori, cittadine di campagna. Eppure, si tratta di un ambiente che ha un che di arcano, persino magico, un ambiente in cui si percepisce la sinistra sensazione di una violenza incombente, di una caducità umana più forte che altrove. La splendida prosa de La fine dei vandalismi è maestra nel restituirci la forza autentica della natura del luogo e la limitatezza degli sforzi dell’uomo. Tutto ruota intorno alla immaginaria Grouse County, dove lo sceriffo Dan si mette insieme a Louise, reduce da una storia fallita malamente con Tiny, il classico spiantato di campagna, alla vigilia delle elezioni per la scelta del nuovo sceriffo. Perché negli USA persino lo sceriffo è una carica elettiva e prevede un’aspra contesa elettorale. Gli abitanti della Grouse County e, soprattutto, di Grafton (321 Unità, come sta scritto sul classico cartello stradale all’imbocco del paese) vi sorprenderanno con le loro vicende di normale umanità, spiazzandovi con la semplicità delle loro reazioni e la forza dei loro sentimenti.

In Italia per un giro di ottime librerie indipendenti, Tom Drury si è concesso alle nostre domande.

Il Midwest fosco de La fine dei vandalismi è una scelta voluta?

Le aziende agricole a conduzione familiare in questo libro sono in crisi e l’economia rurale non è ancora stata del tutto soppiantata da un sistema dominato dalle multinazionali agrarie. Nel romanzo, qualcosa sta cambiando, ma ciò non significa che tutto debba andare per il verso sbagliato e che tutto ciò che è stato fatto sia destinato a sparire. Gli agricoltori sono spesso molto resilienti. La fine dei vandalismi è il primo capitolo di una trilogia. Nel prosieguo si percepirà qualche cambiamento duraturo, il destino in certi casi segnato per le attività commerciali soffocate dai grandi shopping mall. Ne La fine dei vandalismi a farne le spese per primo è il bazar di Grafton, una vera tragedia locale. Ma ci sono anche parecchie cose che restano, che il tempo non riesce a scalfire.

La fine dei vandalismi è zeppa di famiglie disgregate o disfunzionali. Il Midwest è anche questo?

Non ho inteso rappresentare una particolare condizione umana, piuttosto ho scelto una comunità che in qualche misura potesse essere lo specchio dell’intera umanità. Di famiglie disfunzionali ce ne sono tante anche nel resto degli Stati Uniti. In realtà, dove non ce ne sono? In fondo, mi piace scrivere dei problemi della gente, delle cose che preoccupano la gente: delitti, violenza, tornado, situazione che mettono duramente alla prova le persone.

La fine dei vandalismi è il suo primo romanzo ed è uscito nel 1994. Che cosa ha fatto in tutti questi anni?

Ho scritto altri quattro romanzi. Ho tenuto corsi di scrittura creativa alla Wesleyan University, Connecticut, e in altri atenei. Attualmente, insegno a Lipsia. Lo faccio per mantenermi e poter continuare a scrivere. Ho pure fatto il giornalista e ho pubblicato un libro di fotografie sull’architettura di Los Angeles.

Cosa resta dell’ottimismo che accompagnò la prima elezione di Obama?

Credo che un giorno tornerà. Credo che l’elezione di Trump sia stata un’aberrazione. Continuo ad avere tanti conoscenti dalle idee progressiste in Iowa, dunque non credo che si tratti di una situazione destinata a durare. Penso, però, che dovremo sudare per superarla e per rimediare al danno. Ma resto ottimista. Non si può fare altro.

Come spiega il successo di Trump nell’Iowa, uno stato rurale ma anche caratterizzato dalla presenza di istituzione accademiche di eccellenza?

L’Iowa ha votato per Obama in entrambe le tornate elettorali. A Iowa City ha sede un laboratorio di scrittura creativa di fama mondiale. In effetti, il contrasto è stridente. Io aspiravo a un’istruzione di primo livello e l’ho trovata in Iowa, per l’esattezza proprio a Iowa City che, rispetto al paesino da cui provenivo, era una metropoli. Inoltre, negli anni Settanta, l’Iowa ha prodotto due senatori estremamente progressisti e, dunque, negli anni della mia formazione non mi è mai parso di vivere in un’enclave del pensiero conservatore. Non so neppure con certezza se l’Iowa si sia trasformato in un ambiente così conservatore con le elezioni del 2016, peraltro un’idea con cui faccio fatica a scendere a patti. Con i miei libri ho tentato di prendere la mentalità progressista di quegli anni, l’umanità di quegli anni, e di trasmetterla ai miei personaggi. Si potrebbe, dunque, dire che i miei libri siano una versione del mondo che risulta migliore del mondo stesso. Certo, succedono pure cose brutte, ma non è mia intenzione rappresentare il Midwest come se fosse dominato soltanto da un’atmosfera cupa. C’è molto altro. In letteratura, la gente di campagna solitamente viene descritta in maniera unidimensionale: brave persone, semplicioni di buon cuore, oppure tipacci retrogradi. Deve esserci, ovviamente, un punto intermedio. Dunque, nella mia Grouse County, le persone sono un po’ più complesse. Talvolta, una brava persona fa cose sbagliate e una cattiva persona fa cose buone, sorprendendo il lettore. Insomma, ho tentato di rappresentare esseri umani realistici, utilizzando come palcoscenico il Midwest, un luogo che conosco bene.

Ci sono parecchi riferimenti musicali nel libro. Perché?

Musicisti come Neil Young, Todd Rundgren, John Mellencamp, Joe Cocker, sono stati il nostro pane quotidiano negli anni della crescita. Le loro canzoni hanno sempre un riferimento diretto alle scene in cui appaiono. “Out on the weekend” di Neil Young, per esempio, ricorda a Louise i ragazzi della squadra di football della sua adolescenza. “Can we still be friends?” di Todd Rundgren è un modo simpatico per rappresentare l’allontanamento temporaneo di Louise e Dan.

E cosa leggeva da giovane? C’è qualcuno in particolare che l’ha ispirata?

Non saprei. Nove racconti di J.D. Salinger. Steinbeck, di cui salta fuori qualcosa qua e là nel mio libro. Il Grinta di Charles Portis, forse il primo grande libro che abbia mai letto, grazie a mia nonna che era iscritta a un club di lettori. Ero un lettore vorace e ricordo di aver letto i libri di Perry Mason e le antologie di scrittori umoristici di mio padre. Solo dopo la laurea, ho iniziato a leggere Hemingway. E ho, naturalmente, letto tanto Sherwood Anderson, che scriveva di un ambiente simile al mio e che mi è stato di notevole aiuto nello sviluppo del mio stile narrativo.

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