di Lapo Vinattieri
Per questa Fiorentina, 365 giorni sembrano corrispondere ad un’intera vita: un anno fa, battendo il Cagliari al Franchi per 1 a 0 grazie al gol di Cataldi, i viola occupavano il secondo posto a parimerito con l’Atalanta, entrambe a quota 31 punti, a -1 dal Napoli, primo e futuro campione. Oggi, mentre il Napoli rimane sempre primo, la Fiorentina rappresenta il fanalino di coda della Serie A 2025/26 con 6 punti e 0 vittorie in 14 giornate.
Anche in Conference League, competizione di livello molto basso e nella quale la Fiorentina rappresenta una delle migliori formazioni, il risultato è poco diverso: i viola hanno debuttato bene nei primi due incontri (2 a 0 a Firenze ai cechi del Sigma Olomuc e 0 a 3 a Vienna contro il Rapid), ma hanno poi perso i successivi due match contro Mainz 05 e AEK Atene, il che si traduce in un 17esimo posto nella lunghissima e caotica classifica della Conference.
Facciamo un salto indietro di qualche mese: la stagione scorsa era terminata con uno spareggio a distanza con la Lazio per l’ultimo piazzamento europeo. La Fiorentina, allenata da Raffaele Palladino, era riuscita a vincere in casa dell’Udinese, mentre i capitolini erano caduti all’Olimpico contro il Lecce, permettendo ai viola di giocarsi i playoff di Conference League per la stagione 2025/26. Competizione della quale, nell’annata 24/25, i toscani erano arrivati a giocarsi l’accesso alla finale contro gli spagnoli del Real Betis, uscendo ai supplementari.
Quindi, date queste premesse, come si spiega il tracollo attuale?
Per farlo, è necessario ripercorrere la stagione passata. Dopo 7 punti nelle prime 6 partite, Palladino e i suoi inanellano una serie di 8 vittorie consecutive in Serie A, eguagliando un record che durava dal 1960. Durante questo filotto, la Fiorentina perde però un uomo fondamentale: Edoardo Bove, che accusa un malore durante il match contro l’Inter del 1° dicembre e che ancora oggi lo tiene lontano dai campi. L’incontro viene quindi rimandato, ma i viola riescono comunque a vincere la successiva partita contro il Cagliari. Da qui, i gigliati perdono di lucidità: 6 partite senza vittoria in cui Palladino viene messo in discussione dal direttore sportivo Pradè e anche dai tifosi che rivolgono, tanto all’allenatore quanto al Ds, feroci critiche per un mercato di gennaio scarno e in cui non sono riusciti a sopperire all’assenza forzata di Bove.
Successivamente i risultati della Fiorentina sono altalenanti: dopo il pareggio interno contro il Torino del 19 gennaio, i viola vincono le seguenti tre partite, tra cui il recupero contro l’Inter, per poi perderne altrettante alternando grandi vittorie, come il 3 a 0 alla Juventus, a sconfitte inspiegabili, come il 2 a 1 nel match contro il Venezia a due giornate dalla fine. Un brutto stop questo poiché una vittoria avrebbe tenute vive le speranze di un piazzamento in Europa League, obiettivo dichiarato della società.
Proprio al termine di questa partita, il Ds Pradè criticava Palladino nell’approccio alle gare con le “piccole”, cosa che avrebbe impedito più volte alla Fiorentina di fare risultato. È la goccia che fa traboccare il vaso: nonostante l’anno si concluda con la qualificazione ai playoff di Conference League e il record di punti nell’era Commisso (65), e nonostante un contratto appena rinnovato fino al 2027, Palladino si dimette, tra lo stupore dell’intera società e dei tifosi.
Per dare seguito ad un gruppo capeggiato, su tutti, da Moise Kean, secondo allora nella classifica marcatori, e David De Gea, tra i migliori portieri della Serie A, la società, con in testa proprio Daniele Pradé decide di optare per l’usato sicuro, riportando in Italia Stefano Pioli, esonerato dall’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo e già passato da Firenze tra il 2017 e il 2019. In accordo con il nuovo mister viene fatto un mercato made in Italy: si acquistano giocatori con esperienza in Serie A, come Edin Dzeko, o giovani che bene hanno figurato nel nostro campionato, quali Piccoli, Nicolussi Caviglia, Sohm e Fazzini. Commisso mette a disposizione del DS romano, tra riscatti e nuovi acquisti, un totale di 90 milioni, ribadendo l’obiettivo di un piazzamento nell’Europa che conta. La squadra che bene aveva fatto nella passata stagione con il 3-5-2 di Palladino viene rafforzata e i giocatori che se ne sono andati vengono tutti sostituiti. O, almeno, così sembra.
Il campionato mette Pioli e Pradè di fronte alla dura e cruda verità: dopo due pareggi nelle prime due giornate giocate lontano da Firenze, a causa dei lavori allo stadio, la Fiorentina perde le successive due partite in casa contro Napoli e Como e pareggia 0 a 0 l’attesissimo derby contro il neopromosso Pisa. Nonostante la vittoria in Conference contro il Sigma Olomouc, il trend non si inverte: sconfitte contro Roma e Milan, pareggio contro il Bologna e altre due sconfitte consecutive contro Inter e Lecce, in quello che è a tutti gli effetti uno scontro salvezza.
A questo punto, qualcuno deve fare mea culpa: prima della partita contro i salentini Pradé presenta le sue dimissioni e il neo Ds Goretti, già direttore tecnico, esonera Pioli dichiarando fallito il progetto di rafforzamento di una squadra strutturata per giocare con il 3-5-2 e affidata ad un tecnico che raramente aveva usato questo modulo nella sua carriera.
Chi al posto dell’ex Milan? Dopo la sconfitta contro il Mainz 05 in Conference, con la squadra affidata temporaneamente all’allenatore della Primavera Galloppa, viene annunciata la firma di Paolo Vanoli, ex allenatore del Torino e autore del gol valso l’ultimo trofeo della storia della Fiorentina, la Coppa Italia del 2001. Una scelta di cuore, quindi, che però non significa soluzione: i viola pareggiano le successive due partite contro Genoa e Juventus, per poi perdere consecutivamente contro AEK, Atalanta (ora allenata dall’ex Palladino) e Sassuolo.
Questi risultati vogliono dire due cose: ultimo posto in classifica in solitaria e peggior partenza nella storia della Fiorentina. Lo spettro della Serie B è quindi più che mai realtà: nessuna squadra che abbia iniziato la stagione con 0 vittorie nelle prime 14 giornate si è poi salvata a fine stagione.
I tifosi, unica cosa che si salva in questo inizio di stagione tragicomico, chiedono chiarezza: la squadra sembra mancare di autorità e ogni giocatore sembra giocare per sé stesso, come testimoniato dal siparietto tra Kean, Ranieri e Mandragora per il calcio di rigore nella partita contro il Sassuolo. La società è praticamente assente: il presidente Commisso è in America e sono mesi che non si fa sentire, Goretti non ha esperienza in Serie A e Ferrari, portavoce del proprietario, racconta sempre di una situazione idilliaca che, in realtà, vede solo lui. Lo stesso Vanoli, chiamato per imporre il pugno di ferro nel gruppo, dopo la sconfitta di Reggio Emilia ha ammesso di non avere “ancora trovato la chiave per entrare nella testa dei ragazzi”.
Una situazione molto complicata e che ha radici in problematiche denunciate ormai da anni, come una società poco presente e con i dirigenti, che operano quotidianamente, non esenti da colpe. Tutte cose che i tifosi, delusi ma sempre presenti, sperano possano passare in secondo piano almeno domenica prossima nello scontro con l’Hellas Verona, anch’essa in zona retrocessione. L’obiettivo è prima trovare i tanto bramati 3 punti e poi, lentamente ma con costanza, tentare quella risalita che al di là delle statistiche, è ancora matematicamente possibile. La Serie B, che Firenze non vive dalla stagione 2003/04, continua ad aleggiare sul prato del Franchi.