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Manca il “cannibale” e gli amanti del ciclismo tornano all’utopia di non sapere chi vincerà

L’assenza di Pogačar rende tutto più aperto. Tra gli appassionati si discute molto sul ruolo del campioni e del fascino del ciclismo. Alcune considerazione su questa edizione della corsa in rosa nella settimana nella quale la carovana sbarca a Siena

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13 Maggio 2025 - 17.10


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di Lucia Mora

Quando qualcuno lo paragona a Eddy Merckx, Tadej Pogačar si arrabbia tantissimo. Vuoi perché ormai se lo sente dire a ogni gara che vince (cioè molto spesso), vuoi perché ai campioni l’orgoglio non manca, e difendere la propria identità serve a evitare di sentirsi intrappolati in altre epoche, schemi, linguaggi, orizzonti. Quello che Pogačar fa nel 2025 non può essere accostato alle gesta di Merckx per tanti motivi, ma un punto in comune c’è: in entrambi i casi, le gare in cui compare quel cognome diventano automaticamente le più importanti della stagione, almeno per chi del ciclismo ama le imprese da superuomini. Ecco perché, secondo alcuni, il Giro d’Italia 2025 avrebbe meno mordente rispetto all’anno scorso. Ma è davvero così?

Il dibattito sui cannibali – verrebbe da dire alieni – che dominano ogni corsa a cui partecipano senza lasciare briciole alla concorrenza è molto acceso tra gli appassionati, che da quattro o cinque anni a questa parte si sono ritrovati a seguire uno sport completamente diverso (o quasi) rispetto a prima. Da quale universo siano saltati fuori Tadej Pogačar, Mathieu van der Poel, Remco Evenepoel e Jonas Vingegaard – e per quale motivo abbiano deciso di conquistare il pianeta Terra all’unisono – resta ancora un mistero. Fatto sta che da quando il loro talento è esploso, anche grandi corridori come Primož Roglič o Wout van Aert sembrano in difficoltà come se fossero ai primi approcci con la bicicletta. Esattamente come Novak Djokovic non parte più da favorito, se al torneo è iscritto anche Jannik Sinner.

Ed esattamente come gli Internazionali di Roma stanno (giustamente) cavalcando la presenza di Sinner al Foro Italico in questi giorni, nel 2024 il Giro d’Italia ha incassato la partecipazione di Pogačar come si incassa un jackpot. Il ciclista più forte in circolazione attira per forza riflettori, investimenti e attenzioni mediatiche che, tocca ammetterlo, alla Corsa Rosa mancavano e mancano da un bel po’. Lo strapotere del Tour de France ha pian piano schiacciato la corsa a tappe tricolore, perché in una società malata di capitalismo e poco intenzionata a guarire, è normale: chi ha più soldi ha più prestigio. L’equazione è semplice e spietata, soprattutto per le squadre di ciclismo, che non godono certo dei grandi patrimoni calcistici. Il montepremi complessivo del Tour 2024 ammontava a 2,3 milioni di euro; quello del Giro 2025 si aggira attorno a 1,6 milioni. Non esattamente una differenza da poco.

La decisione di Pogačar – o meglio, del suo staff, perché se fosse per la voracità dello sloveno lo si vedrebbe a ogni traguardo – di saltare il Giro e di puntare direttamente al Tour stupisce quindi ancora meno, a maggior ragione dopo una primavera molto diversa dal solito che lo ha visto correre persino la Parigi-Roubaix. Il Giro si trova così senza un grande favorito per la vittoria, oltre che senza un personaggio in grado di rendersi da solo altrettanto interessante per i media, gli sponsor, i tifosi e il pubblico più occasionale. Ma non è detto che sia necessariamente un male.

Esaurita la grande attesa e relativa spinta iniziale, il dominio dello sloveno in Maglia Rosa aveva annichilito ogni forma di sorpresa. Il finale era già scritto, le tappe si guardavano per inerzia, perché quando hai di fronte un fenomeno generazionale sai di essere di fronte alla Storia, quella con la maiuscola, e allora non ti perdi neanche una sua mossa, perché vuoi dire di esserci stato, quando Pogačar cannibalizzava il suo primo Giro d’Italia. Ma lo guardavi solo per quello, e non più per il gusto di goderti una battaglia sui pedali ad armi pari, con la curiosità di scoprire chi alla fine ha più gambe e testa per spuntarla. Ecco, questo Giro potrebbe restituire agli amanti del ciclismo un piacere che ormai sembra un’utopia: non sapere come andrà a finire.

Certo, Roglič sulla carta è il favorito. Il Trofeo Senza Fine lo ha già sollevato nel 2023 e ha vinto quattro volte (!) la Vuelta a España, la terza grande corsa a tappe del calendario dopo Giro e Tour. Però ha anche 35 anni – se dovesse vincere davvero, sarebbe il più anziano di sempre a riuscirci – e una carriera disseminata di sfortune, cadute e imprevisti vari, oltre a un’indole decisamente meno votata all’attacco rispetto al connazionale Tadej. Questo fa sì che il risultato non sia già annunciato in partenza, anzi. Nel gruppo c’è anche Juan Ayuso, per esempio: ha 22 anni, 13 in meno di “Rogla”, che quando aveva 22 anni ancora doveva iniziare a fare il ciclista professionista, ed è uno dei più promettenti talenti del ciclismo mondiale. C’è Richard Carapaz, che su tre partecipazioni al Giro è finito due volte sul podio; c’è Egan Bernal, vincitore dell’edizione 2021; c’è Wout van Aert, un campione che non corre per la generale ma al quale bisognerebbe dedicare un articolo a parte, eccetera.

Niente è ancora scritto. E questo potrebbe farci tornare la voglia di leggere.

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