Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.
di Serena Guardascione
Non si sentono nel cielo lanci di razzi. Non si odono pianti strazianti ne urla di perdita e colpi di arma da fuoco. Per la prima volta dopo un mese e mezzo di guerra finalmente una pausa. Fragile?
Sento dire che c’è un accordo fra le parti che stabilisce lo scambio reciproco degli ostaggi, più precisamente di donne e bambini, ma si percepisce fin da subito che il filo che tiene unito questo accordo è sottile e precario.
Nell’aria si sente una tensione palpabile direttamente sulla pelle. L’ossigeno è pesante quando entra nei polmoni e si ha paura che basterà un piccolo passo falso per far ricominciare l’inferno. Bisogna dire che siamo arrivati molte volte a pensare che tutto potesse ricominciare, con ancora più ferocia, ogni volta che si percepiva un problema dietro l’angolo.
E’ iniziato venerdì 24 novembre, giorno in cui è scattato un cessate il fuoco di quattro giorni tra Israele e Hamas. I primi scambi di ostaggi sono stati programmati per il pomeriggio, ma la tensione non sembra voler diminuire. E, infatti, a poche ore dall’inizio del cessate il fuoco, un razzo sparato da Gaza è stato intercettato. Non ha creato danni e nemmeno feriti, così riporta la radio militare. Nel mentre, si scopre che poche ore prima dall’inizio della tregua, Israele ha fatto esplodere un tunnel sotto l’ospedale di Shifa a Gaza, sede, secondo un portavoce dell’esercito, di un “centro nevralgico terroristico”. Capiamo quindi che nessuna delle due parti vuole mollare la presa.
Nel frattempo, gruppi di sfollati nella zona sud di Gaza vogliono approfittare di questa pausa dalla guerra per ritornare nelle proprie terre, nella zona Nord, campo di guerriglia. Israele sta sconsigliando questi trasferimenti visto che la tregua è momentanea. Ma il richiamo di casa e della terra arida è troppo forte. Più forte anche della minaccia incombente di morire sotto il fuoco nemico e sotto le macerie, finendo per essere traditi dalla stessa casa che non è più in grado di proteggerti. Intanto durante il mattino si fanno strada camion con aiuti umanitari (alimenti, acqua, gas domestico, medicine) verso Gaza, rimasta isolata, in condizioni precarie, fino a questo momento. Con questi gesti sembra di vedere un briciolo di umanità, insito e ancora presente nel profondo, da entrambe le parti. Sembra quasi che si possa sperare in una pace più lunga. Ma, purtroppo, il tempo delle fantasie di una tregua definitiva nel breve periodo sembrano svanire quando veniamo a sapere che in Cisgiordania si continua a combattere e dei soldati israeliani hanno sparato e ucciso un ragazzo palestinese di 22 anni.
Inizia, finalmente, il tempo dei rilasci e rimaniamo tutto il giorno con il fiato sospeso, con la paura di muoverci e di fare rumore. Ed ecco che nel primo pomeriggio vediamo la prima consegna alla Croce Rossa di 13 ostaggi Israeliani, 9 donne e 4 bambini, portati al valico di Rafah. Rilasciamo finalmente il primo respiro trattenuto per la tensione. Vediamo una donna con in braccio il figlio che si precipita nelle braccia del marito. Finalmente una famiglia si è riunita, ma c’è la consapevolezza che solo una parte dell’incubo è terminata, poiché la guerra continuerà.
Comincia anche la liberazione dei 39 detenuti palestinesi, donne e minori, dalle carceri Israeliane. (Secondo respiro liberato). Questa volta un bagno di folla di dimostranti ha accolto gli ex-prigionieri con urla e lacrime di gioia. Saranno poi condotti a casa, alcuni fino in Cisgiordania, dove la mano misericordiosa del cessate il fuoco non è arrivata.
In questi attimi, se visti dall’esterno e da una persona che non sa della momentaneità della tregua, sembra quasi di vedere dei festeggiamenti di fine guerra, dove tutti celebrano la conclusione della battaglia e il ritorno alla realtà, ad una vita dove il rumore delle assordanti sirene antibomba sono solo un ricordo lontano.
Abbiamo visto gli abbracci stretti e soffocanti di amore di chi ha avuto la fortuna di ritornare e di trovare ancora qualcuno di familiare ad aspettarlo. Questo è il caso di Esther, giovane di 19 anni, che è ritornata nelle braccia della madre dopo una prigionia di 50 giorni. Mi attraversa un brivido sulla pelle se ripenso al suo pianto. Era come quello di un bambino che viene al mondo. Pieno di dolore per il trauma, ma anche colmo di vittoria per essere tra le mani materne.
Non si dimentica facilmente il sollievo visto negli sguardi di chi era tra i liberati. Un sollievo che però lascerà, ben presto, il posto alla sofferenza di ritornare in luoghi che non sono casa propria (perché distrutta o situata in un territorio troppo pericoloso) e al tormento straziante di girarsi dall’altro lato e non trovare più accanto a sé le persone care che, nel frattempo, sono state barbaramente uccise o rapite. Questo è il caso di Joseph, bambino di soli 7 anni che non ha più nessuno, ormai figlio adottivo della dama nera, la Guerra. Vedo i suoi grandi e innocenti occhi che cercano qualcosa, qualcuno, la sua famiglia, ma lui non ha ancora capito che non è sopravvissuto nessuno al massacro di un mese prima.
È questo ciò che accomuna le persone che sono state liberate oggi e che verranno liberate in questi giorni. Dall’esterno possono sembrare molto diverse, ma hanno lo stesso sguardo e la stessa anima distrutta a metà. Questo è ciò che accomuna tutte le persone vittime della guerra, di entrambi gli schieramenti, il Dolore.
Una scena mi colpisce. È ormai sera, ma vedo una scintilla, quasi una fiamma. Ho incrociato gli occhi pieni di rabbia di Rahel e di sua madre che allontanano tutte le mani protese ad aiutarle, comprese quelle dei concittadini e della Croce Rossa che le porterà in salvo. È la rabbia comune degli israeliani liberati che si sentono traditi dal proprio governo, non difesi. C’è una grande dignità rabbiosa nei loro occhi mentre rifiutano di essere aiutati. Cammineranno da soli e continueranno a farlo come hanno sempre fatto.
La notte cala sul Medio Oriente e sembra quasi una serata tranquilla, una di quelle che da queste parti non si vedevano da tempo, una di quelle che noi, fortunatamente, siamo abituati a vivere. La giornata è passata e si va a dormire sapendo che un altro giorno di tregua avrà inizio, ma con la pesante consapevolezza nel cuore che potrebbero essere gli ultimi giorni di pausa da una guerra che non riesce a mettere un punto alla questione e a trovare finalmente la pace. Lo sentiamo, che questa pausa dalle armi non durerà molto. Questa è solo una fragile tregua.