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L’istruzione rischia grosso: le scelte governative bloccano il libero pensiero

Intervista al professor Montanari. Il Rettore di Unistrasi approfondisce i motivi legati alla decisione di fermare i tirocini con la Marina militare e spiega cosa rischia la libera istruzione quando i governi di destra dominano il mondo.

L’istruzione rischia grosso: le scelte governative bloccano il libero pensiero
In foto Tomaso Montanari
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7 Marzo 2025 - 12.00


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di Enea Russo

Se non ci fosse stato questo cambiamento del clima politico e civile Unistrasi avrebbe continuato a collaborare con la Marina militare, e in che cosa consistono questi tirocini?

Si tratta di una convenzione che era già presente prima che diventassi rettore ed è stata rinnovata nel 2022 con un voto del Senato accademico. Se il clima del mondo non fosse quello che è oggi, se non ci fosse un ritorno ad una logica militarista così diffusa, forse avremmo proseguito la collaborazione.

In particolare i tirocini consistevano nel permettere agli studenti di salire sulle navi della Marina militare – la portaerei Cavour – durante le esercitazioni Mare aperto della NATO con funzioni di mediazione culturale, sostanzialmente in paesi di cultura araba. Questi erano accordi presi nella convinzione che in un Paese democratico come l’Italia, le Forze armate fanno parte di una logica costituzionale e quindi non servono a far la guerra ma a costruire la pace. Ovviamente se l’articolo 11 della Costituzione fosse rispettato.

In questa ottica i rapporti tra Unistrasi e Marina militare andavano nella direzione di non isolare il mondo militare in sé stesso ma di tenerlo ancorato ad una logica costituzionale. Questa convenzione è sempre stata rimessa in discussione, l’università è del resto luogo di pensiero critico e anch’io ho avuto dei dubbi, superati tuttavia dall’idea che in fondo questa decisione stava dando buoni frutti. Ma ciò che è successo negli ultimi tre anni ci ha fatto ritenere che non era più il caso di continuare.

Come risponde alle critiche dei vari giornali che dicono che questa decisione sia troppo radicale (Il giornale l’ha definita la “dottrina rossa per eccellenza”)?

Io non ho voluto rispondere sui media perché non credo alla buona fede di questi organi stampa, che disprezzo profondamente. Penso che non ci sia nessuna attenzione rispetto a una deontologia professionale in base alla quale un giornale dovrebbe raccontare i fatti e poi su di essi esprimere un’opinione. Siccome la “linea” vuole che il rettore Montanari imponga le sue idee politiche all’ateneo e siccome ciò è difficile da sostenere di fronte al voto unanime di un Senato accademico composto da molte persone elette e non nominate dal rettore, raccontare la storia in quei termini vuol dire non raccontare la realtà. Se un giornale fa propaganda politica e non ha nessun interesse per la realtà dei fatti è totalmente inutile rispondere. 

Sembra che il Governo con il DDL Sicurezza abbia paura dell’istruzione libera, come mai?

Perché sono fascisti, loro vengono da quella tradizione. Penso che ci sia una repressione del dissenso generalizzata. Nelle chat di Fratelli d’Italia il ministro Crosetto dice che Roberto Saviano va punito: sentire il ministro della difesa che vuole che uno scrittore venga punito fa una certa impressione in un regime democratico.

C’è un disegno di legge che vuole mettere sostanzialmente sotto il controllo dell’Esecutivo l’azione penale della magistratura, il progetto sul premierato intende mettere gli organi di controllo, come Presidenza della Repubblica e Corte costituzionale, nelle mani dell’Esecutivo, c’è un attacco a tutti gli intellettuali liberi che criticano il governo. 

Mi pare che in generale ci sia un odio per il dissenso e il pensiero diverso che ha a che fare con la matrice autoritaria e fascista del partito di maggioranza relativa, che tiene ancora nello stemma la fiamma che arde nella bara di Benito Mussolini, e che di fatto, come milioni di prove dimostrano, non ha preso alcuna distanza dal fascismo. Tanto è vero che pochi giorni fa Giorgia Meloni ha partecipato tranquillamente al raduno dei conservatori americani inaugurato da Steve Bannon col saluto nazifascista. 

È nella natura di queste forze di estrema destra volere un controllo sull’università. In quel DDL Sicurezza che, come dice un magistrato emerito in pensione — Deidda, che è stato procuratore generale a Firenze — è un DDL che dovremmo chiamare “stato di polizia”. C’è anche una norma, che non sappiamo se arriverà all’approvazione, che apre le porte delle informazioni sensibili degli atenei ai servizi segreti. È chiaro che i servizi segreti non hanno bisogno dell’autorizzazione dei rettori per entrare dove vogliono, ma il fatto che lo si voglia normalizzare per legge è un segnale di chiara intimidazione, perché se sai che il Grande fratello ti guarda parlerai e agirai di conseguenza.

Questo tipo di riforma è strettamente legata all’ ideologia di destra o non necessariamente? Anche i governi di sinistra possono partorire una riforma simile?

C’è stato uno slittamento verso destra continuo. Pensiamo alle politiche di Marco Minniti del PD sull’immigrazione, che sono politiche di estrema destra per me. Il problema è che di slittamento in slittamento oggi siamo molto vicini all’Ungheria o alla Polonia: una svolta autoritaria vera. Giustissimo vedere i passi fatti in queste direzioni da governi che avrebbero dovuto fare il contrario, ma ricordiamoci che lo slittamento poi finisce, e porta da qualche parte, cioè in fondo. E ora siamo in fondo.

Questa deriva del mondo verso destra è perché la sinistra ha fallito?

Sì certo, la sinistra ha smesso di essere tale dalla metà degli Anni 80, è da quegli anni che avviene un reflusso verso destra. Dal crollo del muro di Berlino, ovvero dal 1989 in poi, la sinistra ha smesso di pensare di poter cambiare il mondo e si è dedicata ad amministrarlo così come era, in genere fornendo risposte di destra, solo più edulcorate, una specie di cura omeopatica: piccole dosi di destra che alla fine hanno aperto le porte alla destra destra. Questo mi pare un dato di fatto.

Mi può fare un esempio su come potrebbe diventare l’Università in un prossimo futuro se il DDL Sicurezza venisse approvato?

Può succedere che le cartelle personali di studenti attenzionati dalla Polizia durante le manifestazioni, per esempio per Gaza, e i fascicoli personali di docenti segnalati per la loro posizione sul Governo, o che interi materiali di ricerca degli atenei, anche quelli più sensibili, finiscano direttamente nelle mani dei servizi segreti, i quali ne faranno l’uso che credono. Sappiamo quanto in Italia i Servizi abbiano una storia anche molto opaca. Anche per loro natura è difficile sapere cosa fanno, ma poi queste informazioni possono essere vendute, scambiate, possono passare a servizi di altri Paesi, essere consegnate al Governo.

Come fa il pensiero critico a fermare questo slitamento?

Il pensiero critico non ha una forza politica o militare. Il pensiero critico è la forza delle menti e dell’opinione pubblica: dovrebbe riuscire ad attivare una reazione mostrando la verità. Il vero problema, come spiega Hannah Arendt, è che la verità e il potere sono nemici per loro natura. Alcune istituzioni, la magistratura e l’università, dice Hannah Arendt, hanno la possibilità di portare alla luce dei frammenti di verità. E su questi frammenti di verità l’opinione pubblica può costruire una reazione al potere dando consapevolezza a quello che sta succedendo. Naturalmente è soltanto un innesco, ma se non c’è neanche questo diventa difficile.

Anche per questo Trump dice che le università sono un nemico. Ma come fanno gli atenei a difendersi dal controllo istituzionale e mantenere la loro libertà?

In Italia esiste la Costituzione della Repubblica, il cui articolo 33 afferma che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, e finisce con delle norme precise sull’autonomia universitaria. L’università è autonoma per Costituzione, deve esercitare questa autonomia e la deve difendere, ogni volta che è violata deve reclamare giustizia, deve non tacere e alzare la voce se necessario, non ripiegarsi nelle sue biblioteche e nei suoi laboratori ma saper parlare al Paese, insomma deve essere università.

Ora che stanno cercando di levare le libere manifestazioni come è possibile esporsi?

Anche a costo di praticare delle forme di disobbedienza civile, non ci vuole molto. Quando è morto Silvio Berlusconi io mi sono rifiutato di mettere le bandiere a lutto, ho spiegato perché ed è successo un grandissimo casino. Ma poi non è che mi hanno picchiato o fatto bere l’olio di ricino o mi hanno fatto dimettere. Sì, lo hanno detto che dovevo essere deposto. Ma ci sono ancora delle leggi, c’è ancora la Costituzione e finché ci sono bisogna sfruttare tutti i margini a disposizione.

Dalle recenti statistiche sulle iscrizioni alla scuola secondaria di secondo grado (istituti superiori) emerge un grosso spostamento dai licei agli istituti professionali. Questo spostamento non rispecchia già la tendenza delle persone a voler andare incontro a studi che privilegiano il “fare”? Quale è la sua posizione al riguardo?

La cosa terribile è che questa situazione forma a diventare pezzi di ricambio del sistema, dei pezzi di ricambio passivi che si usano per essere sostituiti da altri pezzi di ricambio. Quello che si crea non sono delle teste capaci di cambiare il sistema ma delle braccia capaci di farlo marciare. Credo che sia questo il problema: una formazione intesa come puramente professionale non dà strumenti per cambiare le condizioni del lavoro, invece avremmo bisogno di cambiare tutto. Credo che sia un inganno e una forma di servitù, perché alla fine si tornerà ad un’istruzione per censo, in cui i pochi che imparano a pensare sono quelli che se lo possono permettere, perché sono ricchi di famiglia, ma i ricchi di famiglia quasi mai hanno voglia di cambiare il mondo perché gli va bene così, quindi c’è una doppia sterilizzazione.

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