di Marcello Cecconi
A quanti è successo di viaggiare per i vicoli di Siena sottobraccio agli algoritmi e a José van Dijck, cioè con una delle maggiori esperte contemporanee di media? È capitato, la settimana scorsa, a me e ad un gruppo di universitari del corso di Sociologia della Comunicazione dell’ateneo senese. Un’esperienza didattico-sociale, voluta da Tiziano Bonini docente del corso, per verificare la potenza di quella “bestia” temuta, amata e odiata che è l’algoritmo. Zaini in spalla, ci siamo ritrovati tutti in una Piazza del Campo che si stava riempiendo, archiviata finalmente la pandemia, di tanti turisti.
Abbiamo così potuto toccare con mano di cosa sia capace questa scatola nera. L’obiettivo era vedere com’è fatto l’algoritmo, questa “cosa” che permette a governi e mercati di controllarci dietro l’opacità dei contenuti. L’abbiamo fatto in compagnia di José van Dijck, docente di media e società digitale all’Università olandese di Utrecht, in questi giorni in visita al nostro ateneo.
Sulla base dell’esperimento etnografico compiuto a New York qualche anno fa, da Malte Ziewitz, per indagare gli algoritmi, anche noi abbiamo voluto provare a capire come questi compagni di vita, instancabili e imperscrutabili, incidano nel nostro quotidiano. Lo fece Ziewitz allora e lo abbiamo ripetuto noi, esplorando il loro ragionamento. Insomma mettersi dalla parte degli algoritmi significa, per rendere l’idea, non beneficiare del solo colore, forma e gusto di una pietanza comodamente seduti al ristorante, ma è come se decidessimo di scrivere noi la ricetta, realizzarla in cucina con le nostre mani e poi gustarsela.
Suonavano le campane del mezzogiorno, in Piazza del Campo, quando abbiamo iniziato a darci un obiettivo per questa passeggiata che non doveva avere aiuti tecnologici (niente Gps, appunto) ma doveva esser guidata solo dalle indicazioni che il gruppo avrebbe concordato passo passo. Indicazioni che alla fine costituiranno gli ingredienti dell’algoritmo. Sono fioccate idee visto il gruppo numeroso: prendere la prima strada non in salita? Prendere la prima strada che conduce in territorio della Contrada che ha vinto più di recente il Palio? Chi più ne ha, più ne metta. Tutto ci sembrava abbastanza arbitrario ma alla fine ha prevalso l’idea di lasciarci andare a “ragionamenti” di sensibilità di genere, con l’obiettivo di arrivare in zone della città poco conosciute.
“Presenza di donne nella strada”: è stato il primo tassello dell’algoritmo che ci ha fatto muovere dalla Piazza e risalire la Costarella: “Presenza di negozi femminili” è stato il secondo ingrediente che ci ha liberato nella scelta all’incrocio di Via di Città; poi, al successivo abbiamo stabilito di scegliere la strada guardando al “genere femminile nel nome della strada”. Percorse poche decine di metri ci siamo accorti che seguendo tutto quello che avevamo stabilito, saremmo dovuti tornare sulla nostra strada. Ma il nuovo ingrediente necessario ci imponeva “non si torna mai indietro”.
Abbiamo camminato, così, per qualche minuto ma non è tardato a manifestarsi il nuovo dilemma per il quale non bastavano le indicazioni che ci eravamo precedentemente date. Infatti se avessimo seguito il nostro algoritmo “work and progress”, avremmo dovuto imboccare una strada che non aveva indicazione toponomastica. Forse conduce solo a un chiostro privato e forse è senza uscita ma noi, dall’ingresso, non lo potevamo intuire. La logica ci consigliava di andare oltre ma gli algoritmi non hanno logica ma solo dati, vogliono indicazioni, e noi ne abbiamo fornita una nuova: “È una via solo se c’è l’indicazione del nome della via”. Ostacolo superato, ma i problemi di scelta non finivano qui e, di fronte alla Chiesetta della Selva, abbiamo dovuto dare ancora nuove indicazioni all’algoritmo per procedere nel percorso: “Scegli la strada che va verso la contrada con il nome femminile”, è stata la nuova chiave per continuare.
A un nuovo bivio tutte le indicazioni fin qui fornite fallivano miseramente in quanto finivano per combaciare sia con la strada per la destra che quella per la sinistra. Che fare? Seguendo sempre quella “sensibilità di genere” che ci aveva ispirato sin dall’inizio, ci siamo affidati alle simbologie molto stereotipate del “femminile”. Scegliendo così la “rotondità” ci decidiamo a “scegliere la strada con più forme tondeggianti nella facciata degli edifici”. Non è passato molto tempo ed è stato necessario suggerire una nuova indicazione per non ripercorrere un tratto di strada già fatto. Abbiamo superato l’ostacolo con “non puoi fare la stessa strada due volte anche quando le regole applicate ti spingono ad andare in quella direzione”. L’ultimo incrocio è stato l’apoteosi degli stereotipi di genere con l’indicazione di scegliere quelle “strade dove predominano i colori femminili o ci sono panni stesi alle finestre”.
La passeggiata algoritmica giungeva così a termine con il gruppo che si scioglieva nei pressi del Duomo. Avevamo sorprendentemente beneficiato della scoperta di zone sconosciute della vecchia Siena e rafforzato la consapevolezza di quanto, all’interno degli algoritmi, ci sia sovrascritto l’obiettivo, i pregiudizi e l’esclusività di chi ne richiede la costruzione.
Lasciamoci pure facilitare la vita da questi artefatti tecnologici ma consideriamo sempre bene i loro limiti. Con loro l’ingenuità non è ammessa.