B.B. King, cento anni di blues. L’uomo che trasformò il lamento degli schiavi in voce universale | Culture
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B.B. King, cento anni di blues. L’uomo che trasformò il lamento degli schiavi in voce universale

Non a caso, negli anni Sessanta e Settanta, i grandi del rock, da Eric Clapton a Jimi Hendrix, da Jimmy Page a Keith Richards, lo hanno riconosciuto come maestro. La storia di 'Lucille', la sua inseparabile chitarra, alla quale ha dedicato il brano più conosciuto

B.B. King, cento anni di blues. L’uomo che trasformò il lamento degli schiavi in voce universale
B.B. King e la sua chitarra
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Marcello Cecconi Modifica articolo

15 Settembre 2025 - 14.27


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Nasceva il 16 settembre 1925, Riley B. King, passato alla storia come B.B. King, il Re del Blues. Se fosse ancora vivo, avrebbe compiuto cent’anni proprio domani, invece, ci ha lasciato dieci anni fa. È l’occasione per tornare a raccontare una figura che, più di ogni altra, ha dato un volto e un suono al primo grande genere della musica black americana: il blues.

Quel blues che nasce dal canto degli schiavi deportati dall’Africa, un lamento che si trasformò in linguaggio musicale, prima rurale e acustico, poi urbano ed elettrico. B.B. King fu il testimone e il protagonista di questa trasformazione: dalla chitarra slide della tradizione del “Delta” alla potenza amplificata delle città, dalla polvere del delta del Mississippi ai palchi internazionali.

“Fu grazie a quei canti gospel che si levavano dai campi che appresi l’importanza del canto. È lì che avviò la mia carriera”, raccontava Riley che con la sua Lucille, l’inseparabile chitarra Gibson ES-335 custom, seppe tradurre in note la malinconia, la resistenza e l’allegria, facendo del blues non solo un genere, ma un modo di percepire il mondo.

Prima ancora che artista, King fu un uomo del Sud profondo: cresciuto povero, orfano di madre da bambino, iniziò a suonare la chitarra per strada, nelle radio locali, nelle chiese battiste. La sua voce calda e inconfondibile e il suo tocco palpitante e sentimentale, intriso di pause e sospensioni, raccontavano una vita segnata dalla fatica, ma anche dalla fiducia nella possibilità di elevarsi. Tecnicamente non era un virtuoso ma qualcosa di più raro, un narratore che trasformava ogni assolo in un racconto.

La modernità del blues passa anche da lui perché se Muddy Waters, aveva già portato l’elettricità a Chicago, B.B. King l’ha resa più popolare e travolgente. Non a caso, negli anni Sessanta e Settanta, i grandi del rock, da Eric Clapton a Jimi Hendrix, da Jimmy Page a Keith Richards, lo hanno riconosciuto come maestro. La sua influenza attraversò generi e confini, contribuendo a fare del blues una lingua universale. 41 gli album in studio, 19 live e ben 10 raccolte, 14 Grammy e sesto miglior chitarrista di sempre, secondo la celeberrima rivista statunitense Rolling Stone

Ma oggi vogliamo soffermarci proprio sulla genesi di un pezzo storico del bluesman conosciuto da tutti gli amanti della storia della musica “Lucille”. Eccola: in un freddo inverno del 1949, il ventiquattrenne B.B. King suonava in un locale dell’Arkansas, riscaldato da un barile di kerosene. Una rissa tra due uomini per una donna di nome Lucille fece rovesciare il barile e mandare a fuoco il locale. Nella fuga generale, King si accorse di aver lasciato dentro la sua chitarra.

Contro ogni logica, rientrò tra le fiamme per salvarla. Poco dopo, a mente fredda, capì quanto fosse stato folle rischiare la vita per uno strumento. Eppure, intuì che da quel gesto sarebbe iniziata una storia speciale: decise di chiamare la sua chitarra Lucille, proprio come la donna all’origine della rissa. Da quel giorno Lucille non fu più soltanto un oggetto, ma una compagna inseparabile, protagonista di ogni concerto e, nel 1968, appunto, il nome di un album in studio con nove tracce e il primo brano è proprio “Lucille”.

Il blues resta il primo canto della modernità afroamericana, il suono che ha aperto la strada al jazz, al rock, al soul e persino al rap. Ricordare B.B. King a cento anni dalla nascita significa riconoscere che quella voce, nata da un dolore collettivo, continua a parlare a tutti: uomini e donne, neri e bianchi, giovani e anziani.

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