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Ecco come Omar Calabrese interpretò l’Oliviero Toscani del periodo Benetton

In una intervista del 1999, a ‘l’Unità’, il semiologo ne fece un ritratto stilistico che continua a valere anche alla luce del percorso successivo del fotografo impenitente da poco scomparso

Ecco come Omar Calabrese interpretò l’Oliviero Toscani del periodo Benetton
Oliviero Toscani
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16 Gennaio 2025 - 15.57


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di Marcello Cecconi

A pochi giorni dalla scomparsa di Oliviero Toscani, maestro della provocazione visiva, è inevitabile ripensare al suo impatto nella cultura contemporanea, riflettendo su quanto i suoi messaggi, tanto controversi quanto potenti, abbiano cambiato il nostro modo di guardare il mondo.  Uno sguardo illuminante sul suo lavoro venne dato già 25 anni fa dal semiologo Omar Calabrese in un’intervista per l’Unità in occasione di un’esposizione monografica a Roma, dal titolo “Oliviero Toscani al muro. L’arte visiva nella comunicazione pubblicitaria – United Colors of Benetton”.

Era l’inverno del 1999 e, appena qualche mese prima, Toscani aveva partecipato all’esposizione senese “Epoca! 1945-1999 : manifesti in Italia tra vecchio secolo e nuovo millennio”. La mostra ebbe luogo all’interno del Complesso museale Santa Maria della Scala, diretto allora proprio da Calabrese e Toscani partecipò con il manifesto pubblicitario del prete che bacia la monaca, tra i più trasgressivi delle campagne pubblicitarie Benetton.

Il semiologo, che conosceva Toscani già da diversi anni, spiega nell’intervista a Roberta Secci che il creativo, ben prima della collaborazione con Benetton, era consapevole della sua provocazione e rifiutava di esibire le proprie foto, preferendo esporre i suoi lavori solo nei compiuti manifesti. Calabrese ci ricorda anche che avevano fatto molto scalpore le sue modelle ritratte in una discarica, in Francia. Una spregiudicatezza dell’uso delle immagini che ha poi caratterizzato tutto il periodo Benetton iniziato nel 1991 e sospeso nel 2000 in seguito ad azioni di ritorsione verso la casa di moda a causa di una controversa campagna che utilizzò foto reali di condannati a morte negli Stati Uniti.  

«La pubblicità è la filosofia di Toscani ed è la forma di comunicazione più ricca ed efficace al mondo. – dice Calabrese nell’intervista, che poi aggiunge – Abbiamo bisogno di immagini che inducano la gente a pensare e discutere. Quando i giornalisti trattano argomenti seri, nessuno li critica se tentano di vendere le loro storie ai media. Ma quando una pubblicità tocca un problema reale, tutti sono subito pronti a protestare e a gridare al cattivo gusto. Eppure, tutte le immagini commerciali hanno un significato sociale e un impatto. Nessuno ha analizzato, per esempio, i danni causati da pubblicità stupide».

Il semiologo, una delle colonne dell’allora giovane e vitale corso di Scienze della Comunicazione dell’Università di Siena, sottolinea anche come Toscani avesse saputo cambiare il rapporto strutturale tra creativo e azienda di riferimento. Una dimostrazione di ciò, per Calabrese, era il giornale aziendale della Benetton, Colors, e come questo fosse stato innovativo per l’Italia anche se l’idea era presa a prestito da Andy Warhol che già l’aveva sperimentata in Usa. 

Nel 1999 una rivoluzione nella comunicazione pubblicitaria d’impresa era già in corso da anni e Calabrese nell’intervista lo sostiene. “Ma Toscani ha osato mettere in pratica un concetto di cui da tempo parlavano in molti: la pubblicità è come la poesia. –  sentenzia però il semiologo – E come diceva Giovan Battista Marino, è del poeta in fin la maraviglia, meraviglia che Toscani è riuscito a suscitare attraverso l’uso di contenuti impropri per la comunicazione d’impresa”. Calabrese spiega anche come il linguaggio pubblicitario di allora tendeva a un messaggio che avrebbe dovuto raggiungere più persone possibile e che, per questo, annullava i contenuti ideologici che avrebbero potuto urtare la sensibilità. Ed è proprio nella teorizzazione del linguaggio pubblicitario al contrario che Calabrese sottolinea l’unicità di Toscani che considera la pubblicità come informazione anche se l’oggetto da reclamizzare non c’entra nulla con il messaggio utilizzato.

E la cosa ha funzionato e il caso Benetton lo ha dimostrato in quegli anni: “Nel caso Benetton – dice Calabrese – il prodotto, abbigliamento casual giovanile e non ricercato è già di per sé stesso rivolto ad un certo target di consumatori.  Le campagne di Toscani hanno introdotto un’altra selezione, di tipo antropologico: soddisfano chi ha propensione per l’innovazione e scontentano i conservatori. Ma ciò non ha impedito a Benetton di imporsi tra gli stilisti al di fuori dell’alta moda. Anzi».

Oggi, a distanza di 25 anni, nessuno più si stupisce quando le multinazionali promuovono campagne di sensibilizzazione sociale con obiettivi commerciali ma quello che di sicuro è ancora oggi rilevante di Toscani è la sua distanza dagli stereotipi. Dopo la fine del rapporto con Benetton (sarà ripreso solo per un paio d’anni dal 2018) ha sempre più puntato all’indipendenza dai brand attirando l’attenzione sempre e solo su di sé, fotografo irriverente e controcorrente. 

Negli ultimi anni i contrasti sono stati sempre più intensi con l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e le citazioni in giudizio per diffamazione, vilipendio alla religione e altro, anche da parte di uomini politici, sempre più numerose. La domanda che ci si pone è se la sua arte avrebbe continuato a trovare lo stesso spazio nel caos visivo del presente e del futuro ma, quello che è certo, di Toscani resterà per sempre l’insegnamento che l’immagine non è mai neutrale.

A 25 anni dall’interpretazione di Omar Calabrese e a pochi giorni dalla scomparsa del grande fotografo, ci troviamo ancora una volta a riflettere sul potere della fotografia: uno specchio del nostro mondo, ma anche una finestra su ciò che potremmo diventare.

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