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Zenobia di Palmira: contraddizioni, leggende e l'incerto legame con Tivoli tra storia e mito

La documentazione sulle vicende della regina orientale Zenobia è piuttosto scarna, circoscritta a soli cinque anni, il 267 e il 272 d. Cr. ed ha come epicentro la Siria e la città carovaniera di Palmira

Zenobia di Palmira: contraddizioni, leggende e l'incerto legame con Tivoli tra storia e mito
Zenobia di Palmira
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5 Dicembre 2024 - 14.47 Globalist.it


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di Maria Luisa Angrisani*

La documentazione sulle vicende della regina orientale Zenobia è piuttosto scarna, circoscritta a soli cinque anni, il 267 e il 272 d. Cr. ed ha come epicentro la Siria e la città carovaniera di Palmira, mentre la sua fine è riportata da quattro fonti letterarie, due storiche e due pseudo storiche. Ci serviamo del monumentale e autorevole lessico delle antichità classiche, punto di partenza per qualsiasi ricerca scientifica basata sulla documentazione, la Realencyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft (Pauly-Wissowa),  strumento principe per  ricchezza probatoria e rigore scientifico.

Di Zenobia possediamo alcune immagini sulle monete coniate a suo nome, ma già l’attribuzione del cosiddetto “palazzo di Zenobia” è puramente fantastica, non suffragata da alcuna  documentazione, così come assai limitate sono le fonti epigrafiche e letterarie. Scarna è anche la fama del suo antagonista, Aureliano, uno dei tanti imperatori del turbolento III secolo. Una iscrizione in onore della regina appare sulla grande via colonnata di Palmira e così recita in greco: “Alla loro sovrana Settimia Zenobia, illustrissima e pia regina. Gli eccellenti Septimius Zabdes, Generale in capo, e Septimius Zabbaios, che comanda la piazza, nel mese di agosto 582 (271)” e. in palmireno: “Statua di Settimia Batzabbai, l’illustre e pia regina…” (Starcky-Gawlihowski, Palmyre, Paris 1985, p. 63).

Il presunto legame con la città di Tivoli è tràdito da una testimonianza letteraria relativa alla fine di Zenobia che, dopo aver usurpato il titolo del marito di corrector Orientis ed esteso abusivamente il proprio potere su tutte le province orientali dell’impero romano,  subì l’assedio e una pesante sconfitta dall’imperatore Aureliano che riuscì a catturare la regina palmirena autoproclamatasi Regina dei Re di Palmira, Imperatrix Romanorum, Augusta e assunto il titolo divino di Discendente di Cleopatra. Secondo il costume, Zenobia avrebbe fatto parte delle prede di guerra che accompagnavano la sfilata trionfale del vincitore. Ne possediamo quattro testimonianze letterarie diverse e contraddittorie, una delle quali attesta la successiva  presenza della regina a Tivoli.

  • Flavius Vopiscus, Vita Aureliani, in “Historia Augusta” 26-30: “Incedebat etiam Zenobia, ornata gemmis, catenis aureis, quas alii sustentabant”. Questa testimonianza del IV secolo  lumeggia solo una immagine della sfilata  con la regina ornata di gemme e catene di oro.
  • Trebellius Pollio, Vita Triginta Tyrannorum, 30: “ Huic (scil. A Zenobia) ab Aureliano concessa est, ferturque vixisse cum liberis matronae iam more Romanae data sibi possessione in Tiburti, quae hodieque Zenobia dicitur, non longe ab Hadriano palatio atque ab eo loco, cui nomen est Concae  (ed. Les Belles Lettres, t.V , 1er parte, Vite di Aureliano e Tacito, Paris 1996).
  • Eutropio, Breviarium ab Urbe condita IX 8,13: “Zenobiam quoque, quae occiso Odenatho marito Orientem tenebat, haud longe ab Anthiochia sine gravi proelio cepit, ingressusque Romam nobilem triumphum quasi receptor Orientis Tetricus corrector Lucaniae postea fuit ac privatus diutissime vixit; Zenobia autem posteros, qui adhuc manent, Romae reliquit”.  Anche questo passo dello storiografo del IV secolo parla del trionfo e aggiunge che Zenobia rimase a Roma dove perdura la sua discendenza. Non è nominata la città di Tivoli.
  • Zosimo, Storia Nuova I 47: “Mentre Aureliano si dirigeva in Europa, portando con sé Zenobia e il figlio di costei, insieme a tutti quelli che avevano partecipato alla rivolta, la stessa Zenobia morì, dicono, per una malattia o per digiuno, mentre gli altri, ad eccezione di suo figlio, annegarono nello stretto tra Calcedonia e Bisanzio”.  Questa testimonianza, posteriore di un secolo narra addirittura di una morte precedente l’arrivo a Roma e ne circoscrive la località.

Esaminiamo il contesto: le prime due fonti (Flavio Vopisco e Trebellio Pollione) fanno parte degli scriptores historiae Augustae (raccolta di biografie di imperatori e usurpatori romani da Adriano a Numeriano)  di cui la critica, a partire dal secolo XIX ha ipotizzato la non autenticità: nel 1889 lo storico ed epigrafista tedesco Hermann Dessau ha dimostrato che i sei scrittori (Aelius Spartianus, Iulius Capitolinus, Vulcacius Gallicanus, Aelius Lampridius, Trebellius Pollio e Flavius Vopiscus) potrebbero essere personaggi inventati sotto cui si nasconde un unico autore (in “Hermes” 1889, p. 337). A livello storico, nessuno è più di un semplice nome: l’opera presenta elementi di stile abbastanza uniformi, rendendo legittima l’ipotesi di un unico biografo; per alcuni si tratta di un lavoro di pura evasione o di satira, concepito al solo scopo di intrattenere, per altri, invece, esso è un attacco di parte pagana contro il Cristianesimo che induce l’autore a celare la sua identità per motivi di sicurezza personale. Nello specifico, oltre il dubbio sulla reale esistenza di Trebellio Pollione, l’analisi critica di André Chastagnol è estremamente sfavorevole quanto all’attendibilità della Vita triginta Tyrannorum, testo pieno di imprecisioni, inesattezze e contraddizioni. Il Syme giudica quest’opera di natura fraudolenta e il suo autore è qualificato come “grammarien escroc (rouge grammarien)”. 

Le conclusioni della critica attuale (esauriente panoramica in Paolo Soverini, Scrittori della Storia Augusta, Torino 1983) sui problemi di composizione, datazione ed interpretazione storica orientano verso la falsità dell’opera. 

Ben altra valenza offrono gli altri due storici, Flavio Eutropio, fiorito nella seconda metà del IV secolo e Zosimo, famoso storico bizantino del VI secolo.

Il primo, autore del  Breviarium ab Urbe condita, utilizza fonti del calibro di Tito Livio e Svetonio oltre a cronache a noi non pervenute e a ricordi personali e, nel suo stile semplice e chiaro, presenta una storia ben documentata oltre che accessibile a tutti.

L’opera di Zosimo, “Storia nuova”, conservata quasi per intero nel manoscritto Vaticano Greco 156  usa come fonti Dessippo, Eunapio e Olimpiodoro e si caratterizza per la minuziosa puntualizzazione degli errori commessi dagli imperatori, attribuiti generalmente all’adozione della corrotta religione cristiana, additata come causa della rapida e inarrestabile decadenza dell impero Romano. Quanto alla bontà della trasmissione testuale l’opera fu letta da Fozio, il famoso erudito bibliografo e patriarca bizantino del IX secolo, e, per ciò che riguarda la parte relativa a Zenobia, non fu aggiunta nessuna glossa o commento.

Concludendo: le versioni sulla fine di Zenobia, dopo la conquista di Palmira da parte di Aureliano, sono contrastanti. La storiografia locale, per immaginabili ragioni, ha ritenuto opportuno accedere al racconto di Trebellio Pollione che, abbiamo visto, probabilmente non è neppure mai esistito e che comunque è inserito in una raccolta definita dalla critica un falso. Il metodo scientifico non accede, senza ulteriori approfondimenti testuali, alla adesione assoluta ad una delle quattro testimonianze, ma suggerisce per lo meno una significativa proposizione dubitativa circa la leggenda della villa di Zenobia a Tivoli e la sua fine fantasiosa.  

* Già docente di lingua e letteratura latina presso l’università la Sapienza di Roma

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