Fabrizio De André era un personaggio speciale, una persona, cioè, che a distanza di anni dalla sua morte fa sentire di aver lasciato un grande vuoto culturale. Soprattutto è venuto a mancare un punto di riferimento per i giovani che dalla canzone vogliono qualcosa di più di un semplice momento di relax o di esaltazione ritmica. E’ venuto a mancare colui che con modi colti ma allo stesso tempo popolari faceva arrivare al pubblico un messaggio di poesia alta e di contenuti precisi. La produzione di Fabrizio De André è vastissima. Ci ha lasciato infatti 16 album che comprendono quasi 200 canzoni. Su di lui sono stati scritti più di venti libri, e centinaia di articoli. Alcune sue canzoni sono finite nelle antologie della letteratura italiana.
Nessun personaggio dello spettacolo ha suscitato come De André tanto interesse e tanta voglia di approfondire e di capire.
Il primo brano che fece conoscere De André fu La guerra di Piero, uscita negli anni del Vietnam, in un momento cioè in cui il tema della guerra era fortemente sentito dai giovani.
Eppure la canzone non si riferiva a quella guerra, bensì ad un conflitto emblematico che li comprende tutti, proprio a sottolinearne la stupidità. Ed oggi quella canzone di quasi 40 anni fa è tornata ad essere un inno pacifista.
Fabrizio De André è stato il poeta anarchico, il poeta degli umili, dei diseredati e degli emarginati, dei maledetti. Categorie di persone di cui De André si fece paladino usando le armi della poesia e della musica colta. Potremmo dire Fabrizio De André o della ribellione, ma potremmo anche dire Fabrizio De André o della coerenza, perché, mutò lo stile, mutò i generi, cambiò il modo di concepire la canzone ma rimase sempre fedele alla sua ispirazione di fondo a quello che possiamo definire il suo manifesto culturale e ideologico. E soprattutto rimase fedele a questo mondo marginale che raramente ispira i poeti, anche a costo di pagare un prezzo altissimo come quando arrivò a perdonare i carcerieri del suo sequestro.
Dimostrando nei confronti di questo mondo una pietas, come la chiamavano i latini, che poi coincide con la pietà cristiana. Il suo scopo non è la lotta sociale, a cui pure è sensibile, ma l’amore. Perché Fabrizio amava le sue puttane, i suoi ladri, i suoi travestiti, il popolo tutto dei senza diritti. Come disse don Antonio Balletto al suo funerale: “Ha trovato il timbro sincero che semina fiori anche nella disperazione e sa sferzare gli sciocchi, quelli che credono di sapere”. Per poi concludere che De André “ha aperto sentieri verso miniere d’oro: per i disperati, per quelli che non hanno diritto”.