Questo è l’anno dei grandi concerti, decisivo per la ripresa della musica dal vivo; un anno che ci sta facendo cantare e saltare. Difatti sono stati tanti i piccoli e grandi concerti che già si sono tenuti, mentre molti altri arriveranno in piena estate: si va dai Blur ai Depeche Mode, dai Kiss ai Red Hot, per poi proseguire con i Placebo, i Muse, i Blur e tanti altri ancora.
Il proliferare degli spettacoli è un’eredità che ci ha lasciato la pandemia. Una bella eredità perché ha incrementato la voglia di stare insieme, di poter condividere con altri la passione della musica dal vivo. Si sente andando ai concerti, lo si vede dall’attesa dell’evento, lo si coglie nelle lunghe file ai botteghini. E d’altra parte la voglia di stare insieme si coglie anche tra i cittadini che visitano in massa i musei o che invadono i centri storici. Una reazione naturale all’isolamento e di riscatto.
Questa voglia di riscatto si nota in modo del tutto particolare negli artisti. Lo mostrano calcando con grinta il palco e realizzando performance che hanno un sapore straordinario. Un Esempio? Zucchero Fornaciari: nelle due sole date di Campovolo ha regalato ai suoi fans, me compresa, una messa inscena spettacolare dei suoi più grandi successi. Non smetteva più di cantare: sarà stato l’effetto del ritorno al paese natio o la voglia di dar luogo a una vera e propria veglia del blues con la sua band internazionale, con cori da spiritual, con la vicinanza della figlia e gli assolo dell’incantevole voce etiope di Oma Jali.
Ne ha cantante tante, per ben due ore e mezzo di spettacolo. Instancabile e incontenibile, dispiaciuto di dover chiudere la serata. Il clima che si respirava era quello di una grande festa: l’arena di Reggio Emilia, per l’occasione, era gremita di gente proveniente dalle più disparate parti del mondo, unite dalla musica e dalla voglia di ballare. Molti pezzi conosciuti: da Un Diavolo in me a Diamante, da Baila a brani più soft come Spirito nel buio, da Partigiano Reggiano che ha permesso di farci scatenare a Soul Mama. Con un bellissimo monologo Zucchero ha parlato al suo pubblico della bellezza di restare umili e veri e del non prendersi mai troppo sul serio. Non poteva mancare il colpo di scena: ha composto e cantato una canzone per i tristi giorni che ha vissuto la sua Emilia Romagna. Brividi.
Altro concerto, altre sensazioni ma anche in questo caso è emersa, evidente, la voglia di stupire il pubblico, di renderlo partecipe di un evento da ricordare. Questo 2023, com’è noto, è l’anno del tour europeo dei The Who, che si sono esibiti con la loro unica data italiana, alla Visarno Arena di Firenze. Ad aprire lo spettacolo della grande Band inglese, figura chiave della British Invasion e dei movimenti mod della metà dei Sessanta, sono stati alcuni gruppi emergenti, che a dir la verità, poco c’entravano con il loro stile tanto da far scattare qualche risatina. Di ben altra levatura l’apertura vera e propria della serata consegnata elle preziose mani del grande chitarrista Tom Morello. Personaggio straordinario che si è presentato con una maglietta che evocava Gramsci e con il sound graffiante della sua chitarra. Non ha esitato a ribadire più e più volte sul palco il ripudio nei confronti del fascismo. Applausi.
L’ attesa era tutta per loro e si avvertiva nel verde prato delle Cascine. Si è placata nel momento in cui sono saliti sul palco: Signori ecco a voi i The Who. Grande apertura con un pezzo accompagnato magistralmente dall’orchestra del Maggio musicale fiorentino che per l’occasione ha eseguito una performance musicale riuscendo appieno ad accompagnare la chitarra di Pete Townshend, il leader dello storico gruppo rock, insieme alla voce di Roger Daltrey e degli altri componenti della band. Uno spettacolo che ha emozionato, anche se non ha fatto scatenare tutti i fan che forse sono restati immobili come se fossero quasi impietriti e ipnotizzati. Avrà pesato, in questo atteggiamento del pubblico, l’alternarsi di pezzi molto ballabili con altri più lenti; forse avrà pesato la stanchezza visto che, gran parte di noi, era li in attesa dalle due del pomeriggio. Forse.
Non riesco ancora a spiegarmi questo comportamento. Molto probabilmente, era il tipico concerto bello da ascoltare più che da ballare. Bello perché belle erano le sonorità coinvolgenti e per l’appunto ipnotiche. In decine di altri parchi e di altri stadi vi saranno scene simili. Musiche che si mescoleranno: dal jazz al rock, dalla classica al pop d’annata. E’ come se tutti noi fossimo diventati voraci consumatori di concerti; come se partecipassimo alla più grande abbuffata sonora degli ultimi tempi.
Forse è anche un modo per farci rassicurare, stando insieme, dalla musica mentre tutt’intorno dilagano insicurezza, guerre e violenze. La musica è un modo di stare insieme. Ben vengano allora uno, dieci e cento concerti.