Chi ha qualche annetto ricorderà forse il personaggio di Carcarlo Pravettoni, acuta parodia di un cinico e spietato uomo d’affari a capo della Carter&Carter, un imprenditore delinquente che incarnava il dilagante iperliberismo economico, che a metà degli anni Novanta l’attore, comico e cabarettista Paolo Hendel presentò al programma della Gialappa’s Band “Mai dire gol”. Fu un successo, e per qualche anno Hendel divenne una presenza apprezzata nel panorama televisivo, prima di esserne bandito a causa del corrosivo umorismo della sua comicità che infastidiva questo o quel politico, irritava questo o quel giornalista.
Televisione a parte, Hendel si è sempre diviso tra il cinema ed il teatro, ampliando il suo impegno sociale non solo con spettacoli virati sulla politica e sul costume, ma anche con atti concreti, come quello dell’agosto 2017, quando visitò il carcere di Sollicciano di Firenze insieme ad alcuni esponenti del Partito Radicale per denunciarne la condizione di sovraffollamento.
Nel 2018 firmò un libro con Marco Vicari e con il contributo scientifico della geriatra Maria Chiara Cavallini, uscito per l’editore Rizzoli, La giovinezza è sopravvalutata. Il manifesto per una vecchiaia felice, da cui poi è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale, scritto sempre con Marco Vicari e diretto da Gioele Dix.
Lo spettacolo è in cartellone al Teatro Vittoria di Roma, dal 7 al 12 marzo, e vale la pena di vederlo. Diviso in capitoli che affrontano alcuni temi eterni dell’esperienza umana (giovinezza, vecchiaia, malattia, morte, sessualità, rapporti familiari e di genere), con una scenografia volutamente scarna (un tavolo, una sedia, un leggio, una bottiglia d’acqua, un libro e dei fogli) curata da Francesca Guarnone, l’ausilio di canzoni evocative e le musiche di Savino Cesareo, di una voce fuori campo che annuncia i temi affrontati, il comico toscano si lancia in un monologo di quasi un’ora e mezza, con il suo coinvolgente estro umoristico. Un monologo basato sull’ironia, che si apre al dialogo con il pubblico, con domande dirette, argute allusioni, inviti a riconsiderare esperienze comuni.
Partendo dal proprio vissuto familiare e lavorativo, allargando con “parentesi” sagaci e briose a temi politici e di attualità, con inserti e citazioni poetiche (lo spettacolo si apre con dei versi di Leopardi), culturali e statistiche, Hendel propone una comicità sapida e intelligente, giocando sui luoghi comuni, sulle superficiali convinzioni che ci caratterizzano, sulla stupidità imperante sui social, sulla dilagante ignoranza che soffoca il nostro tempo. Una comicità marcatamente autoironica, che in quanto tale suscita immedesimazione e rispecchiamento, una “confessione” che invita a riflettere su come conduciamo le nostre esistenze, come percepiamo la vita, gli altri e noi stessi.
È insomma un comico maturo e responsabile il Paolo Hendel visto in scena, che ha sostituito la verve esplosiva della gioventù con lo spirito faceto e riflessivo dell’uomo adulto che si mette in gioco, riconsiderando se stesso e il mondo alla luce dell’esperienza accumulata, ed esortando chi lo segue a fare altrettanto, per mezzo di un riso liberatorio.