di Marialaura Baldino
Avrebbe dovuto essere un intervento contro il sessismo, contro gli stereotipi di genere sulle donne. E forse in parte lo è stato. Almeno nel contenuto, o nell’idea alla base dell’intervento. La letterina a sé stessa da bambina, è un format già visto, ma voleva essere un inno all’essere donna, un modo per chiarire a tutti che anche lei, nonostante ciò che appare, a volte, non si è sentita abbastanza bella, intelligente o all’altezza delle aspettative.
Ha replicato ai suoi haters che l’hanno attaccata sul suo modo d’essere madre. Ha invitato le sue ascoltatrici ad avere sogni, anche al di fuori della sfera familiare; a salire sulle montagne russe più alte e a non avere paura, rispondendo con un piccato “mai” alla domanda: “Quante volte la società fa sentire in colpa gli uomini perché vanno al lavoro stando dietro ai figli?”
Il contenuto c’è, le idee ci sono, e portare un discorso del genere a Sanremo non è poca cosa. Ma c’è qualche piccolo neo. Le parole usate e le frasi dette, in alcuni importanti passaggi dell’intervento, sanno di retorica. Sono messaggi brevi, didascalici quasi; dei piccoli slogan che, messi così insieme, sanno un po’ di autoreferenzialità.
C’è chi sostiene che servono anche quelli, gli slogan, ma avendo la possibilità di salire sul palco più famoso d’Italia non sarebbe stato meglio parlare a chiare lettere ed esprimere concetti anche un po’ più costruiti?
Il suo modello comunicativo funziona per i ragazzi ma una narrativa del genere, al pubblico più maturo, dice poco. Ma, per le persone più giovani le sue parole hanno un appeal particolare. È forse anche per questo che il fronte social è diviso: se da una parte, alcune fasce di utenti criticano la scelta della lettera e del suo costrutto, dall’altra molti altri hanno trovato questa scelta coraggiosa e innovativa. E lo è.
Il dibattito sugli stereotipi e sulle differenze di genere non può, però, ridursi a “Essere una donna non è un limite”. Abbiamo già chi ci pensa a semplificare la questione, o chi la esaspera volendo sottolineare come l’intervento fosse “monologo femminista”, come se semplicemente “monologo” non bastasse. Perché commettere lo stesso errore?
Penso, fatte queste premesse, che il vero destinatario di quel discorso non fosse il pubblico in platea (che comunque ha dato piccoli cenni di apprezzamento) ma fossero i suoi quasi 30 milioni di follower, pronti a recepire un messaggio semplice che rispecchia le logiche dei social e anche, per certi aspetti, una logica del personaggio che lei ha creato. Sarebbe stato interessante sentire un pensiero più costruito, che chiamasse in causa i perché di tali problemi, anche se qualcuno ritiene che i discorsoni servono a poco.
Eppure c’è ancora bisogno di parlare di questo, di correggere le storture nel processo di parità dei diritti. I valori di cui le donne sono portatrici vanno, ancor oggi, spiegati e fatti capire. Non possiamo ridurre questo complesso argomento con semplici caption e con lettere a sé stessi. Non basta, questo, a creare vera partecipazione.
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