L’automobile come una vera e propria opera d’arte, capace di confrontarsi con la pittura, la fotografia e l’architettura. Ma anche un oggetto del desiderio o come frontiera dei progressi dell’industria. È il mondo di Motion, Autos, Art, Architecture la mostra ideata dall’archistar Norman Foster per il Guggenheim di Bilbao fino al 18 settembre. Definita dallo stesso Foster “la celebrazione della dimensione artistica dell’automobile”, una sorta di riflessione sul mezzo di trasporto che ha radicalmente cambiato il modo di muoversi nell’ultimo secolo. Per l’occasione sono state radunate una quarantina di auto prescelte per particolari caratteristiche di bellezza, sviluppo tecnico o particolarità. Affiancate da capolavori d’arte e progettazione architettonica.
Ecco allora la sinuosa Bugatti Tipo 57SC Atlantic del 1936, la Hispano-Suiza H6B Dubonnet Xenia e il giallo della Pegaso Z-102 Cúpula del 1952, l’Alfa Romeo Bat car 7 del 1954 fino al Clay Modelling Studio di Cadillac del modello in argilla del primo veicolo completamente elettrico del marchio. Vicino ci sono: la scultura di Umberto Boccioni ‘Forme uniche nella continuità dello spazio’ del 1913; il Pesce, bronzo del 1921 di Costantin Brancusi; la serigrafia di Andy Warhol del 1986; la leggerezza aerea di ’31 gennaio” di Alexander Calder del 1950; i progetti di Frank Lloyd Wright e di Albert Kahn.
Spiega Foster: “La mostra illustra come artisti ed architetti abbiano da una parte anticipato e dall’altra rispecchiato “l’era del movimento” e in particolare, l’automobile. Per fare qualche esempio, I lavori di scultori come Boccioni e Brancusi mostrano come l’immaginario collettivo coinvolga allo stesso modo tanto gli artisti quanto i designer automobilistici. Un gran numero di designer di automobile, infatti, ha un background di arte e di architettura”. Si è voluto anche evidenziare “come l’iconografia degli stencil con i simboli americani sulla Military Jeep abbia una eco nel lavoro artistico del pop artist Robert Indiana. Così come la precisione dell’ingegneria automobilistica è celebrata nel lavoro di Donald Judd”. Del resto, osserva Foster, ”anche i progetti di design automobilistico, nell’era digitale, ancora si basano su modelli di creta in scala uno a uno. Il parallelo coni bozzetti degli artisti, oggi come ieri, è scontato, ed è la ragione per la quale ho inserito anche le riproduzioni dei modelli offerti dalla General Motors Cadillac Division”.
Alla domanda se l’auto fosse l’invenzione più rappresentativa dello spirito del tempo, l’archistar ha risposto che “[…]potrebbero non essere l’ espressione migliore dello zeitgeist ma ne sono un valido segno premonitore, tanto importante da figurare accanto ad altri prodotti culturali che, singolarmente e collettivamente, definiscono meglio il nostro momento storico come la pittura, la scultura, il cinema, la fotografia e l’architettura”. La mostra è stata curata dal team della Norman Foster Foundation assieme a Lekha Hileman Waitoller e Manuel Cirauqui del museo spagnolo e racconta gli inizi della macchina, quando sostituì i mezzi trainati a cavallo e quando iniziarono ad essere modellate secondo le norme aerodinamiche con la galleria del vento. Passando per gli anni Sessanta con le storiche auto da Formula 1 e quando iniziò la distinzione tra auto da strada, di lusso o da corsa. Un capitolo è dedicato all’America, primo Paese che ha mostrato anche le ricadute ambientali dell’auto.
Per raccontare il futuro ci si è affidati a sedici scuole di design da tutto il mondo, con la mission di inventare una nuova mobilità per la fine di questo secolo. “Alle soglie di una nuova rivoluzione dell’energia elettrica – dicono i curatori – questa esposizione potrebbe essere considerata come un requiem per i combustibili nei loro ultimi giorni”.