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Un secolo fa l’”Enrico IV” di Pirandello a Milano

La prima andò in scena il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni che in questi giorni lo sta riproponendo con Eros Pagni nelle vesti del protagonista

Un secolo fa l’”Enrico IV” di Pirandello a Milano
Tracce di memoria
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Marcello Cecconi Modifica articolo

24 Febbraio 2022 - 12.29


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di Marcello Cecconi

Giusto un secolo fa, il 24 febbraio 1922, il venerdì meneghino ebbe uno straordinario appuntamento. Al Teatro Manzoni andò in scena la prima dell’Enrico IV di Luigi Pirandello. Per ricordarlo, in questi giorni e fino al 6 marzo, proprio allo stesso teatro, ritorna in programma. Il personaggio protagonista odierno è Eros Pagni, attore dalla formidabile carriera, mentre la regia è affidata a Luca De Fusco che ha il compito di scavare nelle pieghe di un testo che ha, appunto, cento anni di vita.

L’Enrico IV resta una delle opere teatrali più importanti del drammaturgo siciliano che seguiva di poco l’altra sua opera Sei personaggi in cerca di autore. Quest’ultima era uscita in prima il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma e contestata da molti spettatori al grido di “Manicomio! Manicomio!”. Forse per questo, Pirandello, aveva scelto di partire da Milano con la speranza che la città lombarda si sarebbe dimostrata molto più accogliente nei suoi confronti.

Il tema è sempre lo stesso, quello del “teatro nel teatro”, seconda fase del teatro pirandelliano che arriva fino al 1927 e comprende le maggiori opere che ruotano intorno al problema del rapporto con la realtà. E se in Sei personaggi in cerca d’autore il confine tra realtà e finzione, tra maschera e verità, era ormai completamente scomparso, in Enrico IV c’è l’immersione nel significato della pazzia e nel tema, spesso riproposto dall’autore, dell’inestricabile relazione tra verità e finzione e tra personaggio e uomo.

La prima con Pirandello al Teatro Manzoni

La trama parla di un nobile del primo ‘900 che in una cavalcata mascherata in costume impersona Enrico IV e alla messa in scena, oltre all’innamorata Matilde di Spina, prende parte il rivale in amore Belcredi. Quest’ultimo disarciona Enrico IV che cadendo e sbattendo la testa si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando.  Passano dodici anni e, con la guarigione, Enrico comprende che Belcredi lo aveva volontariamente fatto cadere per rubargli Matilde che infatti, nel frattempo, lo aveva sposato. Sceglie così di fingere di essere ancora pazzo immedesimandosi nella sua maschera per non voler accettare la realtà.

Dopo altri otto anni, Matilde, Belcredi e la loro figlia, accompagnati da uno psichiatra, vanno a trovare Enrico IV. Lo psichiatra, interessato a questo caso di pazzia suggerisce un metodo per la guarigione, quello di ricostruire la stessa scena di vent’anni prima e di ripetere la caduta da cavallo. Si allestisce di nuovo la scena ma con la figlia al posto di Matilde e con Enrico IV che si ritrova di fronte alla ragazza, identica alla madre da giovane che Enrico continua ad amare ancora. Con uno slancio automatico e improvviso Enrico IV abbraccia la ragazza ma Belcredi si oppone. Enrico sfodera la spada e trafigge Belcredi ferendolo a morte. Per sfuggire dalla realtà “normale” che ovviamente l’avrebbe visto processato e imprigionato, sceglie di rimanere per sempre nella sua finta pazzia.

Luigi Pirandello aveva scritto questo testo appositamente per Ruggero Ruggeri, il grande attore dell’epoca che faceva parte del Teatro d’Arte che il drammaturgo siciliano aveva fondato a Roma e che continuava a dirigere. Lo testimonia una lettera dello stesso Pirandello indirizzata all’attore: «Circa vent’anni addietro, alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una “cavalcata in costume” in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s’era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il meglio possibile, s’era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un mese ossessionato. […] Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte.»

I milanesi furono più benevoli dei romani forse anche perché, proprio pochi giorni prima, il loro milanesissimo arcivescovo, Achille Ratti, era diventato Papa con il nome di Pio XI e la colorata immagine della sua incoronazione spuntava, altezzosa, dalle tasche di tanti spettatori. Era la prima pagina della Domenica del Corriere di quella settimana disegnata da Achille Beltrame.

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