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Ecce Caravaggio: perché gli studiosi dicono che il quadro di Madrid è suo

Il riepilogo sui pareri di Terzaghi, Causa, Montanari, Sgarbi e altri sull’ Ecce Homo emerso in Spagna. In Italia? La capitale iberica è casa sua. Fu eseguito a Roma o, forse, a Napoli?

Ecce Caravaggio: perché gli studiosi dicono che il quadro di Madrid è suo
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11 Aprile 2021 - 19.47


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Avrete quasi certamente sentito o letto del dipinto apparso quasi dal nulla a Madrid con tante voci autorevoli impegnate nel ritenerlo opera di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Il quadro raffigura Cristo incoronato di spine mentre un soldato sta per coprirlo (o togliergli) un manto rosso e un Ponzio Pilato barbuto che guarda noi osservatori. Il dipinto stava per andare all’asta l’8 aprile presso la casa Ansorena come lotto numero 229 per 1500 euro e di scuola del caravaggesco spagnolo Ribera, poi è sparito dalla vendita e lo Stato spagnolo lo ha vincolato: non può uscire dal territorio iberico. E Madrid ha fatto l’interesse pubblico. 

Le probabilità altissime e una domanda: non ci sono copie?
Ora, di Caravaggio escono puntualmente scoperte che poi si rivelano infondate. Talvolta in buona fede, spesso per interesse smodato di fama o di denaro o entrambi. Anni fa un’agenzia proclamò al mondo la scoperta a opera di un paio di studiosi di un centinaio di disegni del pittore di cui non sono rimasti disegni e gli approfondimenti e indagini hanno decretato come fossero attribuzioni campate in aria. Stavolta c’è un’altissima probabilità che sia vero. Vediamo, in sintesi, perché. Però poniamo subito una domanda: i dipinti di Caravaggio venivano subito copiati a raffica dai colleghi in dipinti spesso di alto livello quando il pittore aveva appena posato il pennello. Di questo quadro esiste una copia? Forse esiste. Ne parla Rossella Vodret, studiosa accreditata e propensa a ritenere autografo il dipinto, in una intervista sul caso madrileno a Federico Giannini su Finestre sull’Arte il quale produce una foto in bianco e nero con una copia pubblicata da Roberto Longhi nel saggio del 1954 dove assegnava al pittore la versione oggi al Palazzo Bianco di Genova. Tuttavia oggi quell’attribuzione è assai controversa e non convince i più. 

Madrid vince il confronto con Genova 
Madrid batterebbe quindi Genova. Sul dipinto apparso quasi dal nulla hanno scritto Vittorio Sgarbi sul Giornale dell’8 aprile e Dario Pappalardo su Repubblica lo stesso giorno: il dipinto è indicato come “Ecce Homo” “misura 111 centimetri per 86”. Le foto del quadro hanno circolato negli smartphone di studiosi, mercanti e musei come il Prado e tanti sono sobbalzati sulla sedia. Chi ha visto la foto in bianco e nero, più rivelatrice se ben fatta, vi legge una struttura tutta del pittore lombardo. Qualche foto però non basta. Neppure in alta definizione sul pc, neppure una macrofotografia dei dettagli che pure possono essere rivelatori. Maria Cristina Terzaghi, tra le maggiori esperte di collezionismo del ‘600, studiosa del Caravaggio, ha potuto volare a Madrid e dirsi sicura: il quadro è del Merisi. Lo ha ribadito con un articolo sul quotidiano fondato da Scalfari venerdì 9. Anche dettagli esecutivi (certi segni tipici del Merisi) rafforzano l’ipotesi. Che il quadro sia in Spagna confermerebbe l’attribuzione. A Madrid arrivò un dipinto del Merisi nel 1659 di cui poi non si è saputo nulla.

Dipinto a Roma o a Napoli?
A Roma nel 1605 il pittore eseguì questo soggetto per il cardinale Massimo Massimi che potrebbe essersi sbarazzato dell’opera perché nel frattempo l’artista aveva ucciso un uomo nella contesa che gli muterà la vita in una fuga perenne fino alla morte nel 1610. Il quadro madrileno dovrebbe essere quello, ma c’è chi ritiene che sia sì di Caravaggio, ma un po’ posteriore e appartenga agli anni napoletani. 

Stefano Causa è entusiasta, Spinosa prudente
Ora: di solito annunci simili suscitano prudenza, distinguo, favorevoli e contrari. Stavolta più voci autorevoli votano sì, per il no c’è Nicola Spinosa, già soprintendente a Napoli e grande esperto di pittura napoletana e caravaggesca del ‘600. Anzi, stavolta la gara è tra chi dice di averlo visto e capito per primo/prima. 
 Tra gli studiosi a cui prestare ascolto v’è Stefano Causa, docente a Napoli di grande occhio e meritato credito. Sul Giornale dell’Arte online, in un dialogo con la Terzaghi, rileva entusiasta: “Dopo mesi, o anni, di falsi allarmi rispunta fuori un Caravaggio. Ma, attenzione, un Caravaggio vero. Verace. Di quelli che a vederli ti si sala il sangue e, come capita con opere e maestri davvero scardinanti, cambiano tutti i rapporti di distanza col paesaggio intorno. Se è vero, come scritto argutamente, che la madre del Caravaggio è sempre incinta; questa volta la figliolanza pare legittima e pure del miglior sangue! Un «Ecce Homo» a tre figure che più Caravaggio di così si muore”. Causa colloca il dipinto non alla commissione del cardinale quanto “a ridosso del primo soggiorno napoletano del Maestro. Siamo, insomma, alla fine del 1606 o poco più tardi. A metà strada tra le Opere di Misericordia e la «Flagellazione» di San Domenico, oggi a Capodimonte”. 

Pulini: è il Caravaggio ordinato dal cardinale Massimi a Roma
Venerdì 9 Massimo Pulini pubblica una parte di un suo saggio sul dipinto su Avvenire che lo descrive come “lo storico dell’arte italiano che per primo ha attribuito il nuovo dipinto al Merisi con una perizia depositata alla casa d’aste”. Lo studioso riepiloga una serie di note documentarie sulla committenza del cardinale e scrive: “Ritengo si tratti del quadro commissionato da Massimo Massimi nel 1605 che il pittore si era impegnato a eseguire in soli trentasei giorni, se tenne fede alla promessa, eppure sono convinto che il dipinto madrileno verrà riconosciuto come uno dei risultati più intensi dell’artista”. Pulini parla di “radicalità spirituale dell’opera” e “anche la fisicità compatta e brevilinea dei corpi, dei volti e delle mani, coincide con le opere romane di Caravaggio e ognuno degli attori rilascia un senso di istintiva familiarità”. 

Sgarbi: la gara a chi l’ha visto prima
Vittorio Sgarbi sul Giornale di sabato 10 riepiloga in modo efficace la vicenda. Ricorda che tanti studiosi si sono “svegliati” tra il 7 e 8 aprile, e registra: “Comincia adesso la corsa a ostacoli per rivendicare il primato della scoperta del Caravaggio a Madrid, ovvero chi sia stato il primo studioso, o conoscitore, che lo ha riconosciuto. Si è subito chiamato fuori Nicola Spinosa, esperto di pittura napoletana del ‘600, che si era esposto (rimanendo solo con Keith Christiansen) ad avvalorare come opera di Caravaggio la discussa Giuditta e Oloferne, apparsa in Francia (a Tolosa ndr) nel 2014”. Qui lo storico dell’arte ci rammenta quanto dicevamo sopra: i Caravaggio devono convincere e quell’opera destinata a un’asta “fu ritirata dalla vendita, ma per ragioni opposte rispetto al ritiro madrileno. Troppi gli studiosi non convinti”. “Questa volta l’entusiasta Spinosa è insolitamente prudente, e pensa a un caravaggesco di prima fila, anche se non propriamente Ribera”, rileva Sgarbi. “Avanza invece, con il supporto di Repubblica, Maria Cristina Terzaghi, che dice cose sagge, ma che non è stata certo la prima a riconoscere il dipinto”. 

Montanari: il carrozzone isterico dei media, ma pare proprio lui
È bene riprendere qui una voce che sulle attribuzioni “bufale” ha scritto un libro, una voce critica e giustamente severa che non è solo un polemista e anzi è uno studioso proprio del ‘600: Tomaso Montanari. Sul Fatto quotidiano di venerdì 9 annota: “Il coro degli specialisti che hanno visto l’opera pare unanimemente entusiasta. Una cosa risulta chiara anche dalle fotografie disponibili: la sua struttura è tipicamente caravaggesca. È certamente isterico tutto il carrozzone allestito nella sala parto mediatica che da Madrid si estende a tutte le redazioni del mondo: dalla rivendicazione della scoperta (in un imbarazzante sovrapporsi di: ‘ l’ho detto prima io!’), al gioco dei rimbalzi tra siti, giornali, televisioni (…). Oggi, però, è concreta la possibilità che, alla fine, un Caravaggio nasca davvero. A suggerirlo sono la qualità, la forza, la presenza dell’opera stessa”. 
Montanari evidenzia un elemento identificativo cruciale: “L’invenzione del quadro (cioè la sua struttura, la composizione, la disposizione delle figure e la costruzione dei loro gesti) è tipicamente caravaggesca (…). La capacità di bloccare un attimo, raggiungendo il massimo del pathos attraverso la combinazione più drammatica possibile di poche mezze figure è la quintessenza dell’ultimo Caravaggio”. 

Deve restare in Spagna, non venire in Italia
Il Ministerio de la cultura spagnolo ha dichiarato inesportabile il quadro. Il Museo del Prado si dice “prudente”, verifica l’autenticità come deve fare e punta sul dipinto. Qualcuno, come Sgarbi, vorrebbe che lo Stato italiano si mobilitasse, acquistasse il dipinto e lo portasse a Napoli o Roma. Comprensibile desiderio, non molto legittimo: se l’opera è lì da metà ‘600 dove sarebbe arrivata da Napoli, e nessuno ne dubita, appartiene al patrimonio spagnolo. 

Il valore: da 1500 euro a 100 milioni a 10?
I media per pigrizia in queste faccende parlano di “valore inestimabile”: è frutto di banalità. Il quadro se di Caravaggio ha un prezzo. Bene ha riassunto la faccenda Pappalardo venerdì 9, nella testata dove lavora, Repubblica: “Il vincolo sul Cristo (dello Stato spagnolo, ndr) appena attribuito al pittore maledetto ha come effetto anche l’abbassamento delle quotazioni del dipinto. L’Ecce Homo non può competere sul mercato internazionale (…). Per un bene di interesse culturale lo Stato può esercitare un diritto di prelazione nella vendita. Insomma, gli ignari possessori di un Caravaggio si sono trovati in poche ore una tela che ha oscillato dai 1.500 ai 100 milioni di euro di valore. Per scendere poi di nuovo. Qualcuno teme già la svendita. Due milioni di euro? Dieci?”. La proprietaria, ne scrive oggi domenica 11 su Repubblica online lo stesso Pappalardo, è una ottantenne. Sarà come minimo frastornata.

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