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Chiara Ferragni “mito” come la Venere? È il dominio della pop-culture

Cosa significa l’influencer agli Uffizi paragonata dal museo alla dea dipinta dal Botticelli

Chiara Ferragni “mito” come la Venere? È il dominio della pop-culture
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18 Luglio 2020 - 18.08


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Chiara Ferragni giovedì sera agli Uffizi per un servizio di Vogue che visita la Galleria fondata dai Medici e il museo che divulga la notizia perché lei è una imprenditrice digitale con 20 milioni di follower di per sé non dovrebbe stupirci. Le star fanno comodo alle istituzioni e la visita della Ferragni a Botticelli e al Tondo Doni di Michelangelo accompagnata dal direttore Eike Schmidt ha scatenato sui social polemiche perché la signora scatena i fan come odio. D’altronde l’imprenditrice sa benissimo che le polemiche (purché non scadano in offese se non minacce come disgraziatamente accade) sono un ottimo concime per chi vive di fama. Il direttore Eike Schmidt comprende benissimo peraltro i meccanismi mediatici – social compresi – e li adotta. Che poi abbia accompagnato di persona l’imprenditrice nemmeno sorprende: lei è una star planetaria e alle star l’omaggio è dovuto.

È scattata tuttavia un’altra polemica emblematica, e stavolta non sulla giovane signora quanto sugli Uffizi. Colpa di un post su Instagram del museo fiorentino: “L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso dalla fine del ‘400 da Sandro Botticelli nella Nascita di Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di follower, una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social. Il mito di Chiara Ferragni diviso fra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci in tutto il mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo”.

Dunque per gli Uffizi, istituzione dello Stato con opere dal ‘200 in poi, Chiara Ferragni è “una sorta di divinità contemporanea”. Parole significative. Significano un fatto: contano i numeri dei follower, valgono la contabilità e la notorietà, significa che la cultura “pop” è la cultura dominante, non ammette repliche né alternative, è sotto sotto un potere al quale quasi nessuno può risparmiare elogi sperticati. “Se diciamo che la Ferragni è come la Vespucci, trasformiamo quella finestra in uno specchio, che rimanda ossessivamente i nostri tic, le nostre scale di valori, il nostro divorante presente – attacca lo storico dell’arte Tomaso Montanari sul Fatto quotidiano in edicola oggi 18 luglio con un articolo pubblicato anche sul sito emergenzacultura.org) – Diciamo che tutto è identico, invece di capire che tutto è diverso. Questo è il punto: gli Uffizi che cavalcano la fama social della Ferragni non portano la cultura alla massa (come dicono di voler fare), ma fanno esattamente il contrario, banalizzando anche Botticelli in un tormentone da social. Molti adolescenti sarebbero corsi agli Uffizi per vedere la Ferragni, ma neanche uno andrà a visitare gli Uffizi perché c’è stata la Ferragni” (ma speriamo che la previsione si dimostri almeno in parte errata).

“Resta comico – commenta invece Stefano Bartezzaghi nei commenti di Repubblica – ma diventa alla fine forse verosimile che Ferragni stia alla nostra epoca come la Venere botticelliana stava alla sua. Ma questo non perché noi prendiamo una influencer per un’opera d’arte. È vero l’inverso: accade perché consideriamo le opere d’arte del nostro patrimonio — inestimabile e trascurato — come oggetti d’arredamento venuti particolarmente bene”.

Alla fin fine però forse almeno parte del discorso è il seguente: la cultura pop declinata sul web ha un potere cui se un’istituzione vi si sottrae resta schiacciata. Elevare la influencer originaria di Cremona a “mito” della contemporaneità traduce quindi una comunicazione (tecnicamente abile ed efficace perché ha sollevato un polverone) in un segnale su chi ha vero potere. Mediatico e, non dimentichiamolo, di conseguenza economico. Un segnale dei tempi al di là delle intenzioni degli Uffizi stessi.

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