L’immagine che vedete racconta un capitolo di una storia. Raffigura un particolare di una “Crocifissione” affrescata in una chiesa dall’architettura romanica sventrata e ridotta in macerie dal terremoto del 2016. Il suo antico tetto non esiste più. È la chiesa di San Salvatore in Campi, nella Valle Castoriana presso il borgo di Campi, nel Comune di Norcia: aveva due navate una fianco all’altra, due rosoni e due portali, sembrava perduta per sempre. Le ferite resteranno, la chiesa con i suoi affreschi invece sembra che possa rinascere.
Intanto quella dolente e popolata Crocifissione di autore trecentesco si può vedere da vicino con visite guidate per 20-25 persone come tappa di una mostra alquanto speciale, “I capolavori del Trecento. Il cantiere di Giotto, Spoleto e l’Appennino”, che si dipana fino al 4 novembre in quattro località umbre: il Complesso Museale di San Francesco a Montefalco; il Museo Diocesano con la nitida e romanica Basilica di Sant’Eufemia e il Museo Nazionale del Ducato nella Rocca Albornoz a Spoleto; il Museo di San Francesco a Trevi; lo Spazio Arte Valcasana (con due frammenti di pietra affrescata da San Salvatore in Campi) a Scheggino. Tutto in provincia di Perugia.
Grand tour umbro
La rassegna esplora, con spirito critico e coraggio nelle interpretazioni, una stagione pittorica vivacissima: la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo in Umbria, dove si sono riverberati gli effetti del ciclone di Giotto con i suoi affreschi nella basilica superiore di San Francesco ad Assisi e dove di norma non conosciamo i nomi degli artisti che rispondono perciò ai nomi di convenzione dati dagli storici dell’arte come Maestro di Fossa, Maestro di Cesi o Maestro della Croce di Trevi, tanto per ricordare autori ricorrenti nella mostra. Forti di lunghi studi e di uno sguardo che vuole coinvolgere i paesi per riscoprire le bellezze della vallata tiberina e dell’Appennino umbro, hanno curato la rassegna tre autentici specialisti del periodo e quell’arte: Vittoria Garibaldi, Dino Sperandio in veste di storico del periodo (è sindaco a Trevi) e Alessandro Delpriori, sindaco di Matelica nel maceratese e storico dell’arte la cui tesi ha gettato il seme per questa mostra. Per vedere le varie tappe sappiate occorrono un paio di giorni: li valgono, peraltro vi imbattete in borghi deliziosi dove abbondano anche prelibatezze del palato, a partire dai salumi, e nello struggente Appennino umbro. L’organizzazione è di Sistema Museo e Civita.
Osservando questi polittici, queste Madonne e questi Crocifissi pieni di colore a Montefalco, Spoleto e Trevi, oltre che a Scheggino e nella valle di Campi, ci facciamo un’idea di come gli artisti variassero lo sguardo e le forme intorno a temi fissi sacri. L’attenzione al dettaglio è spesso minuziosa e rivela anche atteggiamenti verso la vita terrena più vari di quanto un’errata percezione uniforme sul medioevo fa solitamente pensare. I confronti tra dossali, aureole dorate, sculture in legno dipinto di Madonne e Bambino nelle varie sedi sono coerenti e stimolanti.
“Salviamo la chiesa ma la cicatrice resterà”
Ma torniamo alla chiesa di San Salvatore in Campi perché anche lì si sta svolgendo un’impresa molto speciale: la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria diretta da Marica Mercalli con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, e con l’ingegnere dell’Università di Genova Stefano Podestà, lavora per ricomporre per quanto possibile la chiesa e le pareti affrescate e maciullate dal sisma con un progetto di lungo corso. I tecnici hanno fiducia di riuscire nell’impresa e il cantiere nell’intervallo dai primi di aprile a fine giugno mostra passi avanti notevoli. “Abbiamo recuperato e catalogato il 99% del materiale della chiesa, non è perduta, ciò che è crollato è custodito – interviene l’architetto dell’Iscr Stefania Argenti – è una sfida su come ricostruire, fino a che punto ricostruire, è un cantiere-pilota. Per la prima volta qui siamo intervenuti nel recupero di tutte le pietre”. Per essere chiari: ogni singola pietra ha la sua brava indicazione e il suo numero per dire dove si trovava con precisione in modo ricomporre i pezzi di un puzzle difficilissimo ma non impossibile. E al recupero hanno provveduto giorno dopo giorno i tecnici del Ministero dei beni e attività culturali, dell’Iscr, i carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio, i vigili del fuoco e con l’aiuto dei restauratori volontari della Onlus Cultural Heritage International Emergency – Chief.
“Abbiamo fatto subito la copertura della chiesa (con una tettoia provvisoria, ndr) insieme ai vigili del fuoco e così abbiamo salvato tantissimo compresa questa magnifica Crocifissione affrescata nel ‘300”, racconta lo storico dell’arte della soprintendenza Giovanni Luca De Logu. Al contempo l’esperto non può fare a meno di constatare come sia stato fattibile montare un cantiere così complesso nella chiesa grazie allo spazio aperto della vallata, mentre non è stato possibile fare altrettanto per le chiese dentro il paesino a breve distanza, Campi, perché manca lo spazio tra le case. E lì, per i crolli, si sono persi affreschi stupendi del Trecento e le chiese sono ancora sventrate.
Ricostruire? “Com’era dov’era è una mistificazione”
Ricostruire, sì ma con quali criteri? Con quali metodi? È la grande domanda. “Come Icr cerchiamo anche di far progredire la scienza del restauro di fronte a situazioni complesse. Da qui verranno indicazioni anche per altri cantieri problematici”, osserva Stefania Argenti. Ricostruire tutto secondo lo slogan “com’era dov’era”? “Non è un concetto accettabile detto cos – risponde l’architetto – Anzi mistifica. La ferita non si noterà ma deve esserci: le cicatrici non si vedranno in prima battuta, in secondo piano sì”. Come aggiunge De Logu, i tecnici stanno studiando anche come ricostruire o ricomporre visivamente le architetture interne, come quello che con queste ricerche si è rivelato un ciborio di fine ‘200 o inizio ‘300 e non una costruzione del 1463 come sembrava. E alla fine il senso della storia è: quel medioevo era ricco di storie e d’umanità raffigurate attraverso l’arte sacra, recuperare quanto è andato distrutto è un atto d’umanità in primo luogo per chi abita questi territori.
Per le info sulla mostra: capolavorideltrecento.it
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