E’ un film bello e forte “L’intrusa” di Leonardo Di Costanzo, appena uscito nelle nostre sale, e applauditissimo a Cannes. Una storia dura ma emblematica, metafora di questi nostri anni affollati. Il tema è l’accoglienza e la paura che comporta, i limiti che ridefinisce e le problematiche che attiva dentro di noi. Includere, escludere. E come? Nell’opera di Leonardo Di Costanzo – regista e sceneggiatore di Ischia – c’è Giovanna (Raffaella Giordano), fondatrice del centro “la Masseria” a Napoli, luogo di gioco e creatività al riparo dal degrado e dalle logiche mafiose. E c’è Maria (Valentina Vannino) che proprio alla Masseria, con i suoi due figli. Lei, con gli occhi di ghiaccio, è la giovanissima moglie di un camorrista arrestato per un efferato omicidio. Maria rappresenta tutto quello da cui le madri dei bambini che frequentano il centro stanno cercando di proteggere i loro figli, e Giovanna si trova così di fronte ad una scelta esiziale: Maria, l’intrusa, va accolta o allontanata? Chi va difeso, il gruppo o chi –
senza dirlo – chiede l’ultima possibilità di sfuggire ad una vita già scritta?
Quelle che seguono sono le note di regia di Leonardo Di Costanzo, che suonano un po’ come un editoriale sui limiti tra giusto e ingiusto. E sullo sfondo non c’è solo Napoli, ma semmai un Paese che ha smarrito il baricentro della tolleranza e quindi forse anche la propria identità.
“Mi sono spesso interessato, nei miei documentari, alle figure di mediazione sociale, a quelle persone cioè, che, per la posizione che occupano nella geografia sociale, offrono un punto di vista privilegiato per raccontare un quartiere, una città o una società in un dato momento storico: un insegnante in una scuola di una periferia degradata (A Scuola), o un sindaco legalista di una città dominata da una mentalità mafiosa (Prove di Stato). Al centro de L’Intrusa ci sono degli “eroi” moderni, a mio avviso poco raccontati rispetto all’importanza sociale crescente e per le questioni che il loro agire solleva: sono coloro che, per convinzioni politiche, religiose, o semplicemente umanistiche, scelgono di dedicare la propria vita alle fasce più deboli e marginalizzate della società, dove le politiche sociali pubbliche, se ci sono, non riescono ad arrivare, per scelte politiche o per incapacità. Il loro operare è spesso una continua sperimentazione di forme di convivenza e di socialità; in questi luoghi di frontiera – geografica ma anche culturale, – i limiti, altrove rigidi che separano il giusto dall’ingiusto, il permesso dall’interdetto, l’intollerabile dall’accoglienza, richiedono qui continui aggiustamenti e riposizionamenti.
Ne esistono di svariate forme, da quelle più istituzionalizzate, che gli economisti indicano come “Imprese del terzo settore”, a gruppi spontanei, spesso autofinanziati, o con scarsi contributi pubblici, nati e sviluppatisi con forti motivazioni personali e collettive.
A queste ultime appartiene “La Masseria”, un centro associativo e ricreativo che si occupa d’infanzia a rischio, ma non solo – luogo a riparo e alternativo alle logiche mafiose del quartiere circostante. Un’isola di solidarietà e di condivisione, di crescita comune e di rispetto reciproco, in cui si ritrova speranza per una quotidianità diversa e Giovanna ne è fondatrice e figura di riferimento. Ad attrarmi verso queste realtà sono le possibilità di racconto che offrono. Mi sembra di ritrovarvi gli elementi della narrazione classica: l’individuo/eroe, gli ostacoli che si frappongono al suo agire, la collettività, il conflitto etico. La sceneggiatura è stata scritta contemporaneamente a un lungo lavoro di ricerca, osservazione e incontri con persone e gruppi che agiscono al centro o in periferia di Napoli, dove il racconto si ambienta. La storia raccontata somiglia alle tante che abbiamo ascoltato. L’Intrusa è un film con la camorra ma non è un film sulla camorra; un film su chi ci convive, su chi giorno per giorno cerca di rubargli terreno, persone, consenso sociale, senza essere né giudice né poliziotto. Ma è anche una storia su quel difficile equilibrio da trovare tra paura e accoglienza tra tolleranza e fermezza che credo in questo momento possa risuonare anche in chi non vive a contatto con mafia e camorra, ma sperimenta altre convivenze di paure e diffidenze. L’altro, l’estraneo al gruppo, percepito come un pericolo è, mi sembra, un tema dei tempi che viviamo”.