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Quello che non si dice di Gauguin: un genio, ma anche un pedofilo

Un film celebra il pittore ma cancella la realtà coloniale e la passione dell'artista per le bambine. In Polinesia sposò una tredicenne. E non fu la sola

Quello che non si dice di Gauguin: un genio, ma anche un pedofilo
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Diego Minuti Modifica articolo

26 Settembre 2017 - 17.32


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La libertà che hanno gli artisti di rappresentare la realtà, modificandola, plasmandola a loro piacimento affinché essa sia quanto più somigliante possibile al modello che immaginano è uno degli assiomi della cultura in ogni tempo. La realtà può essere  quindi ritoccata, emendata, alterata se il fine è quello di un’opera che rispecchi l’idea dell’artista. Per questo molte opere d’arte provocatorie o manipolatrici rispetto alla realtà restano tali, pur se aprono un dibattito. E’ quanto sta accadendo in questi giorni in occasione dell’uscita del film ”Gauguin”, di Edouard Deluc e dove il pittore è intepretato da Vincent Cassel. Un film stilisticamente ineccepibile che però , per più d’uno,  con troppa disinvoltura ”cancella la realtà coloniale”.
Il primo a sollevare con forza il problema è stato il magazine Jeune Afrique, voce importante della cultura e della politica africane, con un interrogativo : possiamo dedicare un film a un artista senza rendere conto delle realtà del suo tempo?
Interrogativo formulato in un articolo dall’inequivocabile titolo ””La pedofilia è meno grave nelle zone tropicali”, ricordando che Paul Gauguin si recò in Polinesia nel 1891, spiantato ed ammalato, sperando di trovare l’ispirazione a Tahiti.
Per trovarla si cercò anche una moglie che lo aiutasse a comprendere la cultura locale. La ”moglie” si chiamava Tehamana, ed era più giovane di lui, molto più giovane, quasi una bambina – aveva 13 anni – che prese con sé approfittando della difficoltà della sua famiglia che nell’unione trovò un qualche ristoro economico.
Tehamana non fu la sola che Gauguin ebbe con sé e tutte erano quasi della stessa età.
Gauguin nel film viene presentato come un emarginato che non vuole avere nulla a che fare con i coloni francesi dell’Isola, ma alla fine finisce per comportarsi come loro (anche con abizioni di crescita sociale) soprattutto nelle relazioni amorose e sessuali.
Però al regista la storia (d’amore? forse, ma non è detto) tra Gauguin e Tehamana – nella finzione è chiamata Tehura ed impersonata da Tuheï Adams, – qualche riflessione l’ha dovuta dare perché il film non menziona nè l’eta della sposa,  né il fatto che il pittore soffrisse di sifilide, malattia forse non ad un stadio grave, ma che trasmise alle sue partner.
Per Jean-François Staszak, professore di geografia dell’Università di Ginevra e specialista dell’immaginazione esotica, il film è in realtà “la riproduzione del mito Gauguin” che era andato a Tahiti per vivere come “selvaggio tra i selvaggi”, lontano dalle aree dove gli europei vivevano sull’isola.
Ma, per lo studioso, il film ”sembra essere caduto nella trappola della fantasia del pittore stesso, che sperava di trovare in Tahiti una società ideale, incontaminata, esotica. Le donne del film, offerte allo sguardo dello spettatore, sono infatti nella stessa posizione del momento in cui Paul Gauguin li ha dipinte e mostrate al pubblico europeo”.
“Non parlano. Non fanno niente. Sognano. Sono offerte ai nostri occhi e non sappiamo quello che pensano “, dice Staszak, per il quale è un peccato oggi fare un film su Tahiti senza parlare con i tahitiani.

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