È in occasione dei lavori di restauro e riqualificazione di un edifico storico che gli archeologi riesumano nel centro storico di Trento una necropoli monumentale di epoca preromana. Emersa a una profondità di circa 8 metri rispetto all’attuale quota di via Santa Croce, la necropoli si colloca al di sotto di livelli di frequentazione storica, medievale e di epoca romana.
Ciò rende la recente scoperta straordinaria: “Una scoperta incredibile – commenta la vicepresidente e assessore provinciale alla cultura Francesca Gerosa – che ci mostra una nuova storia della città di Trento, non più quindi solo come città romana. Sappiamo come sia importante l’impegno di ricerca e di tutela del patrimonio delle nostre radici, e questo è previsto dalle leggi e dalla Costituzione, ma indipendentemente da questo non vogliamo sottrarci e qui si sta lavorando intensamente per riportare alla luce un pezzo di storia sconosciuta per la città”.
La necropoli risale al primo millennio avanti Cristo, quando il passaggio di quest’area della città era caratterizzato dalla presenza di un ampio alveo del torrente Fersina, solcato da canali torrentizi intrecciati tra loro ma separati da barre sabbiose o ghiaiose a carattere temporaneo. È in un’area marginale di questo alveo, soggetta a periodiche esondazioni, che è sorta la necropoli, ed è proprio grazie a tali esondazioni che si è preservato straordinariamente il sito archeologico: gli episodi esondativi hanno sigillato la stratificazione archeologia antica, consentendo l’eccezionale conservazione del contesto funerario.
Proprio grazie a questa circostanza è stato possibile documentare in dettaglio i piani d’uso della necropoli e ricostruire con precisione le pratiche funerarie della comunità che ha occupato quest’area nella prima età del Ferro, “periodo di profonde trasformazioni dal punto di vista storico-culturale in tutto il Mediterrano, nell’arco alpino e oltralpe” spiega il soprintendente Franco Marzatico. E continua: «Nell’archeologica in corso di scavo abbiamo la possibilità di riconoscere l’elite di una società che evidentemente era insediata nella conca di Trento e che rappresentava il suo potere e prestigio attraverso la deposizione di oggetti emblematici del proprio status privilegiato”.
Di fatti, i corredi funerari messi in luce appaiono particolarmente ricchi e costituiscono il metro per definire identità, ruoli e funzioni del gruppo sociale di appartenenza. Significativi sono i reperti in metallo, da armi a elaborati oggetti di ornamento con inserzioni in ambra e pasta vitrea, che attestano l’esistenza di influssi e strette relazioni culturali con gli ambienti italici.
Inoltre, la caratteristica principale della nercopoli è la presenza di stele funerarie di 2.40 m di altezza, infisse verticalmente come segnacolo e organizzate in file subparallele con direzione principale Nord-Sud. Ognuna di queste stele delimita a Ovest la tomba principale in cassetta litica coperta da una struttura a tumulo, all’interno delle quali sono presenti terra di rogo e ossa calcinate conservate o in contenitori in materiale deperibile o in vasi ossuari. L’ipotesi è che i resti combusti siano collocati sopra il corredo personale, avvolti in tessuti di cui, in alcuni casi, sono state conservate le fibre al punto che in alcune tombe la forma dell’accumulo suggerisce la presenza di cassette lignee quadrangolari.
Per le cassette litiche è stato impiegato il calcare-marnoso rosato della Scaglia Rossa, mentre per realizzare le stele funerarie stesse è impiegata una materia prima proveniente dall’area della collina est di Trento.
La necropoli di via Santa Croce costituisce un ricco archivio di dati, che sarà studiato da un’equipe di ricerca interdisciplinare a cui parteciperanno enti e specialisti di istituzioni italiane e straniere. “I lavori procedono – spiega ancora Francesca Gerosa – ma c’è ancora tutta un’intera area da monitorare per poi valutare quali azioni intraprendere, anche riguardo ai tantissimi oggetti rinvenuti e che sono già oggetto di restauro, come lo saranno anche i ritrovamenti successivi. Stiamo lavorando ricordando che serve sempre un equilibrio per contemperare gli interessi di tutela del patrimonio archeologico, con quelli comprensibili dello sviluppo urbano”.
Le indagini archeologiche, ancora in corso, sono dirette dalla dottoressa Elisabetta Mottes dell’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento e coordinate sul campo dal dottor Michele Bassetti e dalla dott.ssa Ester Zanichelli di Cora Società Archeologica di Trento e dalla loro equipe di ricerca. Il coordinamento delle operazioni di restauro dei reperti mobili si deve a Susanna Fruet dell’Ufficio beni archeologici e alla dott.ssa Chiara Maggioni di Cora Società Archeologica per l’attività di microscavo e recupero dei vasi ossuari.