Sgombero del Leoncavallo a Milano: propaganda di governo e il nodo CasaPound

All’alba di oggi le forze dell’ordine hanno eseguito lo sgombero del centro sociale Leoncavallo, storico spazio autogestito di via Watteau.

Sgombero del Leoncavallo a Milano: propaganda di governo e il nodo CasaPound
Leoncavallo
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21 Agosto 2025 - 12.54 Globalist.it


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All’alba di oggi le forze dell’ordine hanno eseguito lo sgombero del centro sociale Leoncavallo, storico spazio autogestito di via Watteau. L’intervento, deciso dal Viminale e anticipato di quasi tre settimane rispetto alla data fissata, segna la fine di oltre trent’anni di occupazione.

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L’operazione, condotta senza resistenza – la struttura era vuota – è stata immediatamente celebrata dal governo come un successo. Ma per molti osservatori non si tratta di una scelta tecnica o legale, bensì di un atto di propaganda politica, orchestrato dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni per accreditarsi presso l’elettorato più sensibile al tema della “legalità” a senso unico.

La narrazione del governo

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato di “chiusura di una lunga stagione di illegalità”, mentre il vicepremier Matteo Salvini ha gridato vittoria sui social: “Decenni di illegalità tollerata dalla sinistra: ora si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera!”. Dichiarazioni che evidenziano la volontà del governo di trasformare lo sgombero in un messaggio simbolico, più che in una normale operazione di giustizia.

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Le voci critiche

Le associazioni legate al Leoncavallo hanno reagito con dolore e indignazione. Marina Boer, presidente delle Mamme Antifasciste, ha definito lo sgombero “una tragedia” e ha denunciato la totale mancanza di dialogo. Anche l’europarlamentare Ilaria Salis ha attaccato il governo, accusandolo di voler cancellare cinquant’anni di storia dei movimenti e di ridurre Milano a una città esclusiva, chiusa a spazi di aggregazione popolare.

L’avvocato Mirko Mazzali, che ha seguito la vicenda, ha parlato di operazione “anomala”, mettendo in dubbio la legittimità dell’anticipo deciso dal Questore.

Il paradosso CasaPound

A rafforzare le critiche è la palese contraddizione che emerge a fronte di questo sgombero: se il principio invocato è davvero “tolleranza zero verso le occupazioni abusive”, non si capisce perché la sede di CasaPound a Roma, occupata dal 2003 in via Napoleone III, non venga trattata allo stesso modo.

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La convivenza di due pesi e due misure – da un lato la repressione rapida e spettacolare contro il Leoncavallo, dall’altro l’impunità garantita a un gruppo dichiaratamente neofascista – mostra come la legalità venga piegata a logiche di consenso politico.

Una città che cambia

Il Leoncavallo non era solo un’occupazione: per decenni è stato spazio di cultura indipendente, concerti, festival, attività sociali e iniziative solidali. La sua chiusura lascia un vuoto che molti temono difficilmente sarà colmato in una Milano sempre più segnata da gentrificazione e consumo.

Il futuro del collettivo resta incerto: è stato avviato un percorso per ottenere uno spazio alternativo in via San Dionigi, ma le trattative con il Comune non hanno ancora prodotto risultati. Nel frattempo, resta l’immagine di un governo che usa la forza pubblica per una battaglia ideologica, colpendo un simbolo dei movimenti e lasciando intatta la sede di CasaPound.

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Una contraddizione che solleva un interrogativo inevitabile: la legalità vale per tutti, o solo per chi è funzionale alla propaganda?

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