Consumi in Italia: continua la lotta quotidiana contro l’inflazione

La spesa media mensile delle famiglie è stabile a 2.755 euro (2024), ma l'Istat rivela un allarmante 31% che deve limitare il cibo e profonde disparità Nord-Sud, mentre l'inflazione erode il potere d'acquisto dal pre-Covid.

Consumi in Italia: continua la lotta quotidiana contro l’inflazione
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7 Ottobre 2025 - 12.55


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I dati Istat sui consumi delle famiglie italiane nel 2024 dipingono un quadro di stabilità solo superficiale, rivelando tensioni economiche sotterranee che toccano soprattutto i beni di prima necessità e accentuano le fratture regionali. Se da un lato la spesa media mensile per consumi in valori correnti si attesta a 2.755 euro, rimanendo sostanzialmente invariata rispetto ai 2.738 euro del 2023, la realtà dietro questi numeri è ben più complessa e disomogenea.

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Il segnale più preoccupante riguarda l’alimentazione: difatti, nonostante la stabilità della spesa media, circa una famiglia su tre (il 31,1%) dichiara di aver dovuto limitare sia in quantità che in qualità la spesa per cibo e bevande rispetto all’anno precedente.

Questo dato, se pur in lievissima diminuzione rispetto al 2023, evidenzia come l’aumento dei prezzi – con un’inflazione sui prodotti alimentari e bevande analcoliche del 2,5% (Ipca) – costringa un’ampia fetta della popolazione a strategie di risparmio che impattano direttamente sulla salute e sul benessere. I prodotti alimentari e le bevande analcoliche assorbono il 19,3% della spesa totale, una quota significativa che non è diminuita, suggerendo una rigidità della domanda essenziale che non può essere compressa oltre un certo limite senza sacrifici.

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La stabilità nazionale maschera un’enorme disuguaglianza territoriale. La spesa media delle famiglie del Nord-est, pari a 3.032 euro mensili (con picchi di 3.584 euro in Trentino-Alto Adige), supera di ben 834 euro quella registrata nel Sud (2.199 euro, con la Puglia e la Calabria a chiudere la classifica con circa 2.000 euro). La differenza percentuale tra Nord-est e Sud raggiunge un impressionante 37,9%, confermando un Paese a velocità economiche nettamente distinte. Questa disparità si riflette anche nella spesa non alimentare e in particolare nel risparmio forzato su categorie non essenziali: è nel Mezzogiorno che la quota di chi limita le spese per abbigliamento e calzature raggiunge il livello massimo, toccando il 57,6%.

Un altro elemento cruciale è il confronto con il periodo pre-pandemico. La spesa media di 2.755 euro è superiore del 7,6% rispetto ai 2.561 euro del 2019, per il secondo anno consecutivo. Tuttavia, questa crescita nominale è un’illusione statistica. Nello stesso quinquennio (2019-2024), l’inflazione (misurata dall’Ipca) è esplosa a +18,5%. Ciò significa che, a parità di potere d’acquisto, le famiglie italiane stanno spendendo una quota maggiore di denaro solo per mantenere un livello di consumi che in realtà è stato eroduto significativamente dall’aumento generalizzato dei prezzi. La spesa nominale cresce, ma la quantità di beni e servizi acquistabili diminuisce.

Nonostante il contesto inflattivo, spicca la tenuta (e l’aumento) della spesa per Servizi di ristorazione e di alloggio (+4,1%), pur con un rallentamento rispetto all’impennata del 2023, segnale di una persistente voglia di socialità e svago. Al contempo, la spesa per Informazione e comunicazione registra una contrazione del 2,3%. Infine, l’analisi Istat sottolinea un profondo divario economico legato all’origine, con le famiglie di soli italiani che spendono in media 2.817 euro mensili, il 31,8% in più rispetto alle 2.138 euro delle famiglie con almeno uno straniero.

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